Il ghetto dei giovani architetti

rassegna web

di CLAUDIA RICONDA

«Un ghetto. Vitale, stimolante. Ma sempre un ghetto. Un campo di concentramento per giovani architetti speranzosi. Del resto, se Firenze continuerà a far lavorare i settantenni, le grandi star internazionali, i Natalini, gli Isozaki, i Jean Nouvel, ai giovani cosa resterà? Il ghetto, appunto, o l'estero. E Firenze morirà asfissiata, imbalsamata».

Si cammina nel ghetto con Gianni Pettena, facendosi largo tra enormi palloni bianchi, divani celesti, tecnici che montano, smontano, accendono, salgono. Il ghetto è l'Alcatraz, qui alla stazione Leopolda, lo spazio che «Beyond media», il festival internazionale dell'architettura in video in corso a Firenze, ha dedicato ai giovani: cinquanta architetti emergenti stranieri e italiani, sei i fiorentini, che hanno l'opportunità di far conoscere la loro interpretazione della contemporaneità, attraverso installazioni su un tema che si snoda tra intimità, spazio pubblico e nuove tecnologie.

Ci raccontano, in questa che è una specie di esposizione di arte contemporanea, con grandi giochi di luce e di effetti digitali, come l'eccesso di sorveglianza, la ricerca di forme di sicurezza e di controllo abbiano limitato la nostra riservatezza personale, e come incidano sulla definizione degli spazi.

Il titolo dell'esposizione: «Deep inside». Il ghetto è qui. Dove Pettena, 62 anni, voce e matita del radicalismo fiorentino nei Settanta, e oggi docente di storia dell'architettura contemporanea all'Università di Firenze, teme che restino confinate energie e speranze degli architetti in erba.

«Il problema non è solo di questi ragazzi, ma di tutta una generazione che va dai trenta ai quarant'anni e che ancora non ha voce in questa città. Non sono stati chiamati a inventare o ripensare del tutto un quartiere, non gli è stata data fiducia, né spazio su cui cimentarsi. I nostri mecenati di oggi, i politici, ma anche gli imprenditori privati, hanno una scarsissima cultura architettonica. Agli architetti si chiede di adeguarsi ad una linea, ad un'idea, già preconfezionata dagli esperti di mercato. L'ente pubblico la fa sua e l'architetto si deve adattare. Gli si chiede di ritagliare un abito per un corpo già pensato da altri secondo logiche puramente commerciali e politiche. E se il meccanismo è questo, volete che un politico si affidi ad un giovane architetto? Ma non gli conviene! La grande star gli fa da parafulmine, è inattaccabile, lo protegge dalle critiche. Il giovane, se viene criticato, fa franare tutto: se stesso e il politico. Così stanno a galla tutti». E i giovani fiorentini continuano a vedere le speranze mortificate, a vivere di momenti importanti come questo alla Leopolda, ma che sono spot, eventi, provocazioni, fatte al computer, dietro cui però non si intravedono mattoni.

«L'architettura si fa con i pensieri e con i disegni. Però sì, ogni tanto servono anche i mattoni. Incidere nella realtà che si vive, non solo per interpretarla, come fanno i giovani oggi, ma per metterla in discussione. Noi ce l'avevamo, quello spirito rivoluzionario, noi radicalisti: quando si disegnava un divano finivamo per stravolgerlo, lo smontavamo e lo rimontavamo, raccontava una storia quel divano, era un mezzo per comunicare il momento culturale che stavamo vivendo. Oggi questo spirito non c'è più. Detto questo, facciamoli lavorare, i ragazzi. Il verde pubblico, per cominciare: togliamolo agli uffici tecnici degli enti locali e facciamolo ripensare ai giovani. Hanno una sensibilità diversa sull'ambiente, più attenta ma anche più vitale. Diamogli le Cascine, sì. E anche i percorsi sull'Arno, e soprattutto le periferie, questi luoghi senza qualità, a cui sarebbero in grado di ridare una nuova umanità».

Info: «Beyond media», stazione Leopolda e Ospedale Innocenti, curatore Marco Brizzi, fino al 12 ottobre.

Programma su www.architettura.it.

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