Renzo Piano: «Il nuovo ponte di Genova? Deve ricordare e rielaborare la tragedia»

Cos'è una visione? «Le visioni nascono nel momento in cui la forza della necessità ti obbliga ad averne». Così Renzo Piano nella sua lectio magistralis con la quale ha aperto ieri il festival della comunicazione a Camogli, dedicato appunto al tema "visioni". E, se la necessità la si associa alle urgenze determinate dall'immane tragedia del crollo del viadotto Morandi, ecco che la visione corrisponde all'idea di ponte e di futuro per l'intera l'area della val Polcevera. Il discorso dell'architetto e senatore a vita entra nel merito dei meccanismi che nell'architettura, e non solo, fanno nascere le idee, le visioni, per poi addentrarsi in una delle pagine più dolorose della storia italiana degli ultimi tempi.

«Io mi ero preparato un bel discorso sulle visioni - racconta -, c'ho lavorato fino a metà delle mie vacanze, ma poi è successa una cosa terribile, è successo che è crollato un ponte a Genova, anzi il ponte a Genova e allora mi sono perso. Un ponte che crolla è una cosa terribile. Crollano i ponti e si costruiscono muri, quelli fisici e quelli metaforici: sono tempi bui questi ed è molto brutto che questo succeda.Questo mi ha sconvolto, ma poi ho pensato che visioni e tutto questo vanno assieme, perché le visioni, non vorrei essere un po' troppo semplice, per me avvengono perché ci sono i cambiamenti, perché succede qualcosa», ha affermato. «È l'osservazione della realtà, quel che ci succede attorno, che crea le visioni: osservi la realtà e partire dalla realtà, se sei capace di dargli forza, poesia, hai delle visioni».

Si veda anche l'articolo dedicato alla presentazione del progetto per la ricostruzione del ponte sul Polcevera tenutasi venerdì 7 settembre nella sede della Regione Liguria.

«L'architetto? trasforma il cambiamento in costruzione»

«L'architetto - sostiene Piano - se non si occupa di capricci si trova sempre a trasformare un cambiamento in costruzione». Ne è un esempio il Centro Pompidou a Parigi: «quello era un cambiamento, eravamo nel 1971, tre anni dopo il '68, e bisognava ben fare qualcosa, reagire all'idea che i luoghi per la cultura non potevano essere luoghi per pochi, per l'élite, dovevano essere aperti, per tutti. Forse era un modo maleducato per reagire, ma era un modo franco», afferma l'architetto genovese. 

«Le rivoluzioni - continua - non le fanno gli architetti, non le fanno i poeti o gli scrittori, non le fanno i cineasti, ma ne diventano interpreti». «Mi è successo anche a Berlino - racconta. È caduto il muro nel 1989 e nel '91 eravamo a lavorare a Berlino, alla ricostruzione di Potsdamer Platz e lì ti accorgi cosa vuol dire costruire: avevamo 5mila operai in quel cantiere di cui solo 500 erano tedeschi, gli altri venivano da tutte le parti del mondo, era una babele, parlavano tutti lingue diverse, ma quel luogo, che era stato teatro della più terribile intolleranza del secolo scorso, era diventato un luogo di coesione, di solidarietà. Costruire significa stare assieme, così nasce l'orgoglio, nasce la voglia di fare le cose. Un cantiere è sempre un luogo di pace. Costruire è un gesto di pace e costruire insieme è un gesto di orgoglio».

«Per ricostruire il ponte ci vuole coesione»

«E, se è vero che - dice - dai cambiamenti nascono le idee, allora possiamo parlare di Genova». Ed è a quella coesione, necessaria, ricordata poco prima portando la memoria ai tempi di Potsdamer Platz, che l'architetto fa appello anche per la ricostruzione del ponte di Genova. «Cosa altro ci vuole per ritrovare in questa città straordinaria un'energia di coesione, per stare assieme. Genova è sempre stata una città straordinaria, intelligentissima. Lo diceva Fernand Braudel. Lui diceva: Genova è stata nella storia del Mediterraneo la città più crudele ma anche la più intelligente, la più coesa. Dov'è finita questa coesione? Bisogna che questo fatto terribile dia questa forza».

«Il ponte deve saper rappresentare la città ed elaborare il lutto»

L'architetto, come è noto, ha consegnato nei giorni scorsi al governatore della Liguria, Giovanni Toti, un'idea per il futuro ponte sul Polcevera. Un'idea alla quale ha lavorato gratuitamente. «Dal 14 agosto non penso ad altro, non è per romanticismo: proprio non penso ad altro», ha affermato. «Costruire un ponte a Genova non è una cosa facile - sottolinea - perché deve essere un ponte sicuro, un ponte che duri, deve essere un ponte che si possa manutenere con molta facilità, ma deve essere anche un ponte che rappresenti bene la città». «Questo ponte deve avere le qualità fisiche, reali, pragmatiche, deve essere un ponte che dura mille anni, ma deve essere anche un ponte che rappresenti bene la città, deve esserne il ritratto in qualche maniera e deve elaborare questo lutto terribile». «Deve fare in maniera che col tempo ricordi la tragedia, ma non può essere sofferenza: i lutti non vanno cancellati, ma vanno elaborati». Un ponte, dunque, che ricordi la tragedia, rielaborandola.

Il ponte deve anche, secondo Piano, funzionare da stimolo in modo da cogliere anche l'opportunità di trasformazione della zona al di sotto del ponte: una periferia urbana. «Lì ci sono - ricorda Piano - zone industriali in trasformazione, zone ferroviarie dismesse. Lì c'è un grande progetto, per il quale bisognerà per forza fare dei concorsi, bisognerà aprire il dibattito, bisognerà misurarsi e mi è stato promesso che questo avverrà e credo che avverrà».

 di Mariagrazia Barletta

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