Nonostante la campagna portata avanti dall'ACA (Association of Consultant Architects), in seguito ai risultati emersi nei mesi scorsi da uno studio che focalizzava la necessità di reperire all'estero i professionisti in grado di soddisfare la crescente domanda nei vari settori dell'architettura, sarà più difficile per gli studi britannici assumere dipendenti originari di Paesi esterni all'Area Economica Europea: la conclusione - che rappresenta in un certo senso una buona notizia per gli addetti "comunitari", ma danneggia quanti provengono ad esempio da regioni dell'Africa o dell'Estremo Oriente - deriva dal mancato inserimento degli architetti (bdonline.co.uk) nella lista delle professioni più soggette alla carenza di profili qualificati, stilata dall'Home Office nell'ambito del rinnovato sistema per ottenere permessi di lavoro e di soggiorno nel Regno Unito e in Scozia.
Il meccanismo recentemente adottato dal dipartimento per gli affari interni prevede cinque diverse categorie (ukba.homeoffice.gov.uk), a cui possono fare riferimento i cittadini stranieri non UE che intendono trasferirsi nel Regno Unito per studiare o lavorare: a ogni categoria corrisponde un determinato punteggio che gli aspiranti devono totalizzare, anche grazie al contributo di uno "sponsor" certificato, ovvero di un datore di lavoro disposto ad assumerli o di un'istituzione, qualificati in base a parametri ufficiali fissati dallo stesso Home Office.
La categoria di riferimento per gli architetti richiesti dagli studi dovrebbe essere la numero 2 "Lavoratori qualificati con un'offerta di impiego per colmare vuoti nella forza lavoro del Regno Unito".
Le professioni segnalate in un apposito elenco, compilato dal Migration Advisory Committee in seguito a verifiche del mercato e analisi statistiche, sono favorite rispetto alle altre nell'apertura delle frontiere ai profili specifici richiesti: di conseguenza, l'esclusione degli architetti dalla prima edizione, pubblicata lo scorso 9 settembre (ukba.homeoffice.gov.uk), potrebbe avere come conseguenza a lungo termine un intensificarsi del fenomeno di delocalizzazione che - secondo una ricerca del Royal Institute of British Architects - sta interessando il 20% dell'attività degli studi (bdonline.co.uk).
In altri termini, l'ostacolo burocratico al reclutamento di collaboratori negli altri continenti, o alla prosecuzione di rapporti di lavoro che già esistono, rischia di tradursi in un progressivo spostamento delle sedi operative in "Medio Oriente, Europa occidentale e orientale... Russia, India, Cina".
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