Online da marzo 2011, il blog IVA sei partita (ivaseipartita.blogspot.com) nasce con l'obiettivo di creare dibattito intorno al fenomeno delle partite iva che mascherano un rapporto di lavoro di tipo subordinato nei settori dell'architettura e dell'ingegneria. Più in generale, l'intento è verificare come flessibilità e precarietà stiano cambiando la struttura della società e la sua forma.
IVA sei partita raccoglie dati e testimonianze, aiuta a orientarsi con notizie utili, studia possibili soluzioni, cerca interlocutori tra gli altri attori sociali e istituzionali per proporre idee in grado di ridare dignità e futuro a una professione e a una generazione.
Intervista a Paola e Laura, blogger di "IVA sei partita"
di Francesca Bizzarro
1 - Perché nasce il progetto "IVA sei partita"?
Quanto hanno influito le vostre personali esperienze lavorative?
IVA sei partita nasce a marzo del 2011, come risposta a una situazione tanto abituale nel mondo dell'architettura e dell'ingegneria, da essere diventata paradossale: paradossale è che la norma in Italia sia, tanto per i piccoli studi professionali come per le grandi società di servizi e per le imprese, assumere collaboratori con partita IVA e instaurare un rapporto di lavoro di tipo subordinato, senza garanzie e riconoscimenti adeguati, con gli svantaggi di entrambe le posizioni - poca libertà e poca sicurezza lavorativa.
Paradossale è che se ne parli così poco, come se il fenomeno fosse del tutto marginale.
Per questo è nata IVA, perché si uscisse dal torpore che ci fa ritenere normale qualsiasi aberrazione, semplicemente perché ci consente di restare a galla nel presente, mentre nel lungo periodo danneggia non solo noi che la subiamo, ma tutta la professione: non ci può essere buona architettura senza diritti per chi opera nel settore.
Certamente alla nascita di "IVA sei partita" hanno contribuito le esperienze, non solo personali, ma di tutta la rete di conoscenze e amici che ruota attorno a noi: la vera presa di coscienza nasce quando ti rendi conto che non sei una mosca bianca, ma parte di una generazione senza diritto al futuro, in un sistema la cui struttura è sbagliata.
2 - Come si passa da libero professionista a "falso autonomo"?
Spesso non vi è alcun passaggio, ma una situazione congenita: si nasce "falsi autonomi".
I primi "contratti", appena usciti dall'università, sono spesso i meno "illegali", se così si può dire: contratti di tirocinio o a progetto. Quando ci si iscrive all'Ordine, queste forme di contratto per legge non sono più possibili, e si diventa finti liberi professionisti.
Il datore di lavoro, che ha di fatto bisogno di una collaborazione fissa ed esclusiva, può arrivare a risparmiare circa il 50% assumendo un consulente invece che un dipendente a tempo determinato o indeterminato, senza contare il fatto che potrà licenziarlo in qualunque momento, oppure ritardare o rifiutare il pagamento della parcella molto più facilmente di quanto potrebbe nel caso in cui lo avesse assunto con un regolare contratto.
Da parte sua, il lavoratore deve pagarsi a proprie spese i contributi previdenziali e la gestione fiscale: abbiamo calcolato che con un reddito netto di iva di 1200 € mensili quello che rimane è poco più di 800 € al mese, senza contare che non si ha nessuna indennità per malattia e disoccupazione, né si ha la possibilità di accedere a forme di sussidio pubbliche, perché si è considerati una classe di "piccoli imprenditori".
3 - In che misura il settore dell'Architettura è investito dal fenomeno delle Partite IVA "imposte" per evitare l'assunzione o la regolarizzazione di rapporti di lavoro di lunga durata?
Non ci sono stime ufficiali per quanto riguarda il nostro settore - il che la dice lunga sulla percezione del fenomeno. Col questionario che abbiamo pubblicato sul blog, abbiamo iniziato a quantificarlo.
L'Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori parla di circa 300 mila finte partite IVA in tutti i settori. Al termine di un'indagine su un campione di 40 mila persone, hanno rilevato che il 52,3% delle sedicenti partite IVA lavora per un unico committente, il 46,9% deve garantire la presenza regolare, il 52,1% utilizza mezzi e strumenti del datore di lavoro. Ma in un settore come quello dell'architettura e dell'ingegneria, in cui una gran parte degli studi professionali hanno dimensioni minime e non possono permettersi di assumere collaboratori secondo i termini di legge, e in cui l'iscrizione all'albo rende impossibile altre forme di assunzione, è ovvio pensare che il fenomeno sia molto più esteso.
4 - Avete analizzato la situazione degli studi in cui spesso tra praticante entusiasta non retribuito e falso autonomo il passo è breve? C'è una responsabilità degli Ordini professionali nel mancato rispetto delle regole?
Il web è pieno di annunci di studi e società che cercano neolaureati o laureandi volenterosi e preparatissimi, con una quantità di conoscenze che prefigurerebbe per lo meno un'esperienza lavorativa di alcuni anni. Bene o male tutti siamo stati praticanti entusiasti desiderosi di lavorare gratis pur di imparare, ma che succede quando una certa professionalità la si è acquisita, ma l'accesso alla professione è difficile e in parte bloccato e le competenze non vengono ricompensate?
Sarebbe ingenuo pensare che gli Ordini non siano a conoscenza di questo stato delle cose, e forse è arrivato il momento di prenderne atto e affrontare il problema, perché quello che si perde è la qualità e la dignità del lavoro.
In Italia c'è un problema generale di discredito della professione e di bassi investimenti sulla qualità architettonica che rende difficile la sopravvivenza degli studi professionali, ma questo mancanza non può essere colmata abbassando i costi del lavoro, specie quando questo gap, insieme a quello della crisi economica, diventa un pretesto per impedire l'accesso a diritti elementari.
Il lavoro di raccolta dei dati e di ricerca, che stiamo facendo tramite il blog, su quelle che sono le proposte di legge e le posizioni dei sindacati e delle associazioni di categoria, serve appunto per ristabilire un dialogo tra i vari interlocutori, per riequilibrare la necessità di una flessibilità lavorativa con una vita non precaria.
5 - In altri Paesi - mi riferisco soprattutto alla Spagna - la questione è stata inquadrata "dal basso" già da alcuni anni, e risale a poche settimane fa (www.pymesyautonomos.com/legalidad/el-siguente-objetivo-los-falsos-autonomos) la notizia che il Ministro del Lavoro spagnolo ha annunciato provvedimenti per individuare i "falsos autonomos" sfruttati dalle aziende private. Viceversa, in Italia il fenomeno è sottostimato. Siete a conoscenza di iniziative per promuovere il dibattito sui temi del lavoro autonomo precario? Che cos'è il Manifesto dei lavoratori autonomi di 2° generazione? Quali sono i punti-chiave?
In modo sotterraneo, qualcosa si muove in Italia.
Dal basso, anche se in ritardo e sebbene i media quasi non ne parlino, sta nascendo un vasto movimento d'opinione sul tema della precarietà, e anche, nello specifico, delle finte partite IVA.
La manifestazione del 9 aprile, organizzata dal comitato de "Il nostro tempo è adesso", è stata il punto di partenza per l'incontro di diverse realtà, tra cui anche quella delle finte partite IVA, che chiaramente non riguarda solo la nostra professione. Il lavoro col comitato sta proseguendo, e stiamo organizzando un seminario sul tema della precarietà che dovrebbe tenersi a fine giugno.
Dall'alto, i sindacati - specialmente la CGIL, col NIDIL, il sindacato dei lavori atipici - e anche diversi esponenti politici, sia di destra che di sinistra, stanno mettendo sul tavolo proposte e tentativi di soluzione. Quello che stiamo cercando di fare col blog è arrivare a queste realtà per avanzare le nostre istanze e formulare le nostre proposte.
IlManifesto dei Lavoratori autonomi di seconda generazione riguarda la categoria delle nuove professioni intellettuali, dei "freelancer" nati per esempio intorno a internet, alla comunicazione, alle competenze altamente specifiche richieste dall'economia contemporanea.
Sono spesso professioni senza un Ordine di riferimento, né microimprese né lavoratori atipici, che fatturano come liberi professionisti e versano i contributi all'INPS gestione separata con una prospettiva di pensione irrisoria, senza indennizzo di malattia, né disoccupazione.
In tal senso, il loro malcontento ci riguarda anche se in parte, e ci porta a interrogarci su che tipo di lavoratore attualmente è l'architetto.
6 - A quattordici anni dal Pacchetto Treu (L.196/97) e a otto dalla Legge 30/2003 (cosiddetta "legge Biagi"), dopo almeno un decennio di silenzio sulla progressiva precarizzazione del lavoro dipendente e sulla proliferazione di forme contrattuali dai profili sfumati, oggi il dibattito sulla materia sembra avere ripreso quota sotto la spinta della crisi economica. Si può affermare che, con i contratti a progetto e le prestazioni occasionali, si è creata nei fatti una formula che mette a rischio il riconoscimento delle prerogative economiche dei liberi professionisti?
L'enorme proliferazione delle forme contrattuali, tutte per altro declinazioni diverse della precarietà, sicuramente non contribuisce a semplificare la situazione: una norma complessa è più facile da raggirare e dà meno strumenti per difendersi dalla sua disapplicazione. In generale, quello che si è fatto negli ultimi 15 anni in Italia, è stato deprezzare il valore del lavoro, specialmente intellettuale. Come se questo Paese non avesse bisogno di ricerca, di cultura, di continuo miglioramento intellettuale.
E' chiaro che questo ci rende tutti più poveri: abbiamo giocato al ribasso, e questo ha un costo. Il problema è che questo costo, tra qualche anno, sarà per una fetta della società, per altro la più preparata e dinamica, quella che dovrebbe far crescere il Paese, insostenibile.
7 - Assumere con co. co. pro. un laureato in ingegneria con lo scopo - per esempio - di realizzare uno studio di fattibilità in tre mesi, "senza vincolo di subordinazione, sede, etc.", ma con un compenso che non tiene conto dei tariffari professionali, si rivela molto vantaggioso per un committente, che dovrebbe investire grosse somme se scegliesse di ottenere la medesima consulenza nei termini di un rapporto cliente/professionista abilitato. Quali barriere crea ai neolaureati questa tendenza a sottovalutare le competenze legate alla specializzazione?
Deprezzare il valore del lavoroin termini di remunerazione significa anche dequalificarlo, per un solo motivo: la competenza costa, non solo a chi la paga, ma anche a chi la acquisisce, con la laurea e con continui corsi di aggiornamento. Se so che questa competenza poi non mi verrà ripagata - addirittura potrebbe diventare un ostacolo, potrei essere "troppo preparata" per un lavoro pagato come quello di un neolaureato - allora non investirò in questo campo. Si abbassa il livello di tutti.
8 - Qual è la differenza tra precarietà e flessibilità?
La flessibilità è la capacità di adattarsi, di cambiare continuamente in base alle esigenze. E' una parola chiave dell'epoca che viviamo: crollate le ideologie e i sistemi di riferimento, noi stessi non ci identifichiamo più nelle risposte definitive, nei modelli di vita dei nostri genitori, basati su altri valori e altri ritmi, mentre ci troviamo ad affrontare una realtà che cambia continuamente.
Questo però non vuol dire che si possa vivere in un continuo hic et nunc: la precarietà significa questo. Vivere innumerevoli qui ed ora, dove il futuro diventa impensabile.
Ma il futuro continua ad esistere, anche per noi che siamo figli della nostra epoca. Noi abbiamo il diritto non solo di essere sereni pensando a quello che ci accadrà qualora le condizioni di vita cambiassero - i figli, la vecchiaia - ma anche di essere pieni di speranza e sognarlo, il futuro.
9 - Si sono comprese le ricadute sociali dell'incertezza lavorativa? Ne cito tre in particolare: la durata irrisoria dei contratti, che costringe i lavoratori precari a spostamenti continui; l'esiguità dei compensi e l'incertezza dei pagamenti, che rende impossibile la continuità economica; l'assenza di tutele previdenziali. Quale riscontro ricevete dal vostro osservatorio?
Probabilmente solo recentemente ci stiamo rendendo conto di quanto questa precarietà incida sulla struttura sociale, determinando, come dicevamo prima, una generazione incapace di pensare il futuro.
Prendendo ispirazione da Augè, la precarietà e la flessibilità sfrenate determinano un non-tempo della vita, sulla base del quale la società si sta strutturando. All'interno del blog abbiamo avviato un dibattito dove, da architetti, ingegneri e urbanisti, e non solo lavoratori, ci interroghiamo su che tipo di architettura e di città può generare una società simile, se le strutture contemporanee stanno andando in questa direzione, su quali strategie progettuali utilizzare per venire incontro alle nuove esigenze, ma anche se questo è il tipo di spazio e di società in cui vogliamo vivere.
10 - Sulle pagine del vostro blog proponete un questionario per raccogliere dati che aiutino a fotografare la situazione dei falsi autonomi. Quali segnali avete colto finora?
Il questionario è il nostro modo di capire la situazione, ma anche di raccogliere adesioni e farci sentire come una realtà numerosa. La fotografia che ne ricaviamo è purtroppo quella che ci aspettavamo e che ci ha spinto ad aprire il blog: la maggior parte delle partite IVA sono in realtà lavoratori dipendenti, per i quali la forte precarietà non è compensata da guadagni migliori rispetto ai lavoratori subordinati più tutelati, ma anzi, al netto delle tasse, questi sono addirittura minori. Nell'ultima parte del questionario, chiediamo quali sono le condizioni che si auspicano e le proposte che si pensa che dovrebbero essere fatte per il proprio futuro lavorativo: un primo passo per inquadrare una generazione non solo attraverso le sue mancanze e i suoi bisogni, ma anche attraverso le sue aspirazioni e i suoi sogni.
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