I vantaggi dell'architettura naturale sono abbastanza noti a tecnici e professionisti, ma le tecniche dell'architettura ecologica stentano a decollare. Eppure lo stato dell'arte della bioarchitettura è tale che la sua diffusione dovrebbe essere ad ampio raggio. Non solo i vantaggi ambientali sono enormi ed indiscutibili ma ormai i costi sono comparabili a quelli dell'architettura tradizionale. Cosa allora frena un ampio impiego delle tecniche naturali?
Gli ostacoli sono tre: la diffidenza, la mancanza di aggiornamento e la legislazione. a spiegarlo è Erich Trevisiol, docente di Progettazione sostenibile all'università IUAV di Venezia e moderatore del convegno organizzato da ANAB (Associazione nazionale Architettura bioecologica) al Klimahouse di Bolzano, la fiera internazionale specializzata nell'efficienza energetica e la sostenibilità in edilizia.
La diffidenza è ben comprensibile: la maggior parte fra progettisti, costruttori e proprietari di casa ancora fatica a capire i vantaggi delle più elementari forme di risparmio energetico negli edifici italiani. La diffidenza è naturalmente collegata alla mancanza di aggiornamento da parte dei tecnici, la battaglia per l'applicazione delle tecniche costruttive naturali dovrebbe trovare i progettisti in prima linea. «Se non entriamo nella testa dei progettisti, i clienti non arriveranno mai a sapere che esiste la possibilità di costruire in modo diverso e con maggiori vantaggi ambientali ed economici», ammette Trevisiol, che denuncia: «la cosa più difficile da fare è convincere gli operai e imprese a usare questi materiali».
Eppure i costi dell'architettura naturale sono molto competitivi, non determinano più un incremento di costi di costruzione come poteva accadere fino a pochi anni fa. E questo perché di possibilità ce ne sono infinite: usare la canapa per eseguire mattoni, ad esempio. Una tecnica con radici antiche, ma vista con scetticismo nell'edilizia tradizionale. «Eppure un suo utilizzo permette di risparmiare il 90% di acqua in meno rispetto a quella necessaria nel caso del cemento e poco meno di un terzo di energia, inoltre usare la canapa vuol dire poterla coltivare e produrre davanti al cantiere, in modo da poter avere la materia prima davvero a chilometro zero» spiega Trevisiol.
I dati relativi al settore delle costruzioni dovrebbero bastare da soli a convincere all'uso delle tecniche naturali: esso infatti incide per il 40% sui consumi di energia, per il 30% sull'uso di risorse naturali e sulla produzione di rifiuti, per il 20% sul consumo d'acqua ed è causa del 40% delle emissioni di anidride carbonica.
Oltre allo scarso aggiornamento di architetti, ingegneri e operai edili, un ulteriore freno alla diffusione su larga scala dei principi dell'architettura naturale viene dalla legislazione italiana, spesso poco attenta a stimolare la diffusione di soluzioni a basso impatto. Con l'ulteriore paradosso che, essendo la normativa sull'edilizia demandata agli enti locali, a pochi chilometri di distanza convivono eccellenze e norme più arretrate.
«L'Italia è a macchia di leopardo - conclude Trevisiol - ogni regione ha le sue norme. Addirittura i nuovi materiali non trovano spazio nei prezziari di molte realtà locali. È difficile pure insegnare le normative all'università. Una situazione di arretratezza che dobbiamo sconfiggere, perché se non puntiamo con decisione su questi nuovi tipi di produzioni non usciremo mai dalla crisi».
Per approfondire: www.anab.it
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