Architettura & Restauro del '900

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«La patina non s'addice al Moderno». E così l'architetto Tancredi Carunchio ha concluso ieri a Bari il convegno sul restauro del Moderno, coniando una frase lapidaria. Lo studioso, che insegna restauro alla Facoltà romana di Architettura «Quaroni» è stato tra gli ospiti di un incontro organizzato al Politecnico dall'Ordine degli architetti della Provincia di Bari per fare il punto sulle questioni - non solo professionali, ma anche teoriche e tecnologiche - sollevate con i lavori di ripristino, di riuso o di restauro che sempre più speso si rendono necessari sugli edifici di pregio realizzati nel Novecento.

«Una attività - ha ricordato il presidente degli architetti baresi, Vincenzo Sinisi - che riguarda la conservazione del mestiere stesso di fare architettura e che richiede innanzitutto una catalogazione delle opere da salvaguardare».

Già, ma quali opere meritano di essere difese e quali no? Carunchio ha preso in prestito dal dibattito sul restauro dell'opera d'arte un armamentario di teorie che applica all'architettura, ricavandone più differenze che analogie e sottolineando l'importanza di confrontare i progetti con i rilievi dell'esistente, per conoscere le modificazioni subite nel tempo. Fino a spingere il prof. Giovanni Leoni, storico dell'Architettura contemporanea che ha moderato il dibattito, a chiedersi se il valore non stia più nel progetto che nella sua realizzazione.

Di uso e riuso, di fedeltà ai materiali e tradimento del progetto si è discusso con gli interventi di Cristiana Marcosano Dell'Erba, che «milita» nella sezione italiana del Docomomo, l'organizzazione internazionale di salvaguardia del Movimento Moderno, e dell'architetto Maura Manzelle della Fondazione Querini Stampalia di Venezia.

Macosano ha mostrato alcuni usi attuali di capolavori del Novecento, opere di Moretti, Del Debbio, Wagner, Loos e Le Corbusier; la Manzelle invece ha dato una lettura assai suggestiva, anzi poetica, del lavoro di Carlo Scarpa, del suo mettere nel progetto il materiale ed il tempo, fino al punto di anticipare il degrado dell'opera e indurre noi oggi al dilemma se sia o no coerente il tentativo di fermare un invecchiamento che era stato pianificato, addirittura anticipato dall'autore. Parabola della natura effimera dell'architettura contemporanea.

Certo, un caso limite e paradossale, che però obbliga anche il progettista del restauro del teatro Margherita, a Bari, ad interrogarsi sul senso del suo lavoro. L'ing. Luigi Nigro ha illustrato l'attuale restauro del teatro sul mare, secondo il progetto all'architetto della Soprintendenza Emilia Pellegrino. Con risultati tutt'altro che scontati. Nel 1914 il Margherita era uno dei primi edifici in cemento armato con quelle dimensioni. Il restauro prevede il rifacimento delle decorazioni che andarono perdute durante la guerra, ma al tempo stesso sta ingrossando le sezioni di certi pilastri (ancorché invisibili al pubblico). Si poteva essere più fedeli alle misure, ma con materiali molto più costosi. Pazienza. In fondo il teatro, per le norme di sicurezza, perderà centinaia di posti. Alla fine vi entreranno soltanto 560 persone.

Nicola Signorile

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