di Walter Rauhe
Aperto il nuovo settore del Deutsches Historisches Museum progettato da Ieoh Ming Pei
Quella del Museo storico tedesco è stata una storia tormentata e assai lunga. In origine doveva essere l'architetto italiano Aldo Rossi a costruire il nuovo museo voluto a suo tempo da Helmut Kohl in persona. Era la metà degli anni Ottanta e l'allora cancelliere della Germania occidentale parlava della «grazia della nascita tardiva » intendendo la nuova generazione di tedeschi che a suo avviso poteva archiviare i suoi sensi di colpa storici e chiudere col passato. Nella sua missione storica di assoluzione collettiva dei suoi connazionali, Kohl oltre che a portare in visita ufficiale il Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan in un cimitero di guerra tedesco dove erano sepolti anche ufficiali delle "SS" e ad abbracciare il Presidente francese Mitterand a Verdun, sognava anche di un grande museo nazionale per una Germania la cui divisione sembrava ormai cementata e nel quale rinchiudere il ricordo storico del Paese, nazionalsocialismo e Muro di Berlino compresi.
Il concorso internazionale indetto a suo tempo per il nuovo museo e vinto successivamente dall'architetto italiano, prevedeva come sede la vasta area incolta e abbandonata di fronte al palazzo del Reichstag, ai tempi della divisione della città, una zona ancora periferica e quasi un "non luogo" per Berlino ovest. L'ambizioso progetto scoppiò come una bolla di sapone nel novembre del 1989. La caduta del Muro di Berlino e l'imminente riunificazione tedesca non solo costrinsero a una completa ridefinizione del progetto, ma evidenziarono subito l'impossibilità di erigere il museo in un'area tornata improvvisamente nel centro della città e nel cuore del futuro quartiere governativo e politico (oggi sulla stessa area si trova il palazzo della Cancelleria e la sede ampliata dell’ambasciata svizzera).
Il regime tedesco orientale inoltre disponeva a Berlino est già di un museo di storia all’interno di uno splendido palazzo settecentesco sul viale Unter den Linden e sulle rive della Sprea, sede ideale insomma anche per un possibile nuovo museo per la Germania riunificata. Nel 1995 infine è stato sempre Helmut Kohl a incaricare l'architetto americano di origine cinese Ieoh Ming Pei (rinunciando questa volta a un concorso internazionale) ad ampliare l'edificio con una nuova ala e a riorganizzare all’interno del corpo antico i saloni d’accesso. Oggi finalmente possiamo ammirare l'epilogo di questo lungo processo di nascita del nuovo Deutsches historisches museum. E dopo tanti travagli, travolgimenti e polemiche possiamo parlare di un epilogo davvero felice e straordinario.
Il lavoro di Pei infatti convince per la sua trasparenza, funzionalità, per la luminosità degli spazi, per i giochi di luce e ombre e per le tante prospettive ottiche create in un ambiente relativamente angusto (la nuova ala dispone di 2.700 metri quadrati di spazio espositivo) che crea suggestivi contatti con l’ambiente circostante — l'edificio neorinascimentale del vecchio museo, gli alberi di castani della piazzetta che costeggia l’università Humboldt, gli squarci sulla Sprea. L’accesso al complesso avviene dal lato centrale del vecchio edificio sulla Unter den Linden. Da qui si accede al cortile interno del palazzo, un tempo aperto e racchiuso ora da un’enorme volta in vetro. Dal cortile-atrio le vie del visitatore si divaricano: una porta nella mostra permanente sulla storia tedesca che verrà allestita nella sede antica (a partire dal prossimo anno), mentre un corridoio sotterraneo conduce nella nuova ala di Pei, divisa all’esterno da uno stretto vicolo.
Il padiglione di Pei, concepito per le esposizioni temporanee (quella inaugurale è dedicata alla storia dell’Europa) accoglie il visitatore in un ampio androne che si sviluppa verticalmente (e vertiginosamente) per l’intera altezza del palazzo occupandone praticamente la metà della superficie. È qui che Pei sfoga le sue capacità scenografiche lasciando la sua impronta architettonica più incisiva e simbolica. Ponti pedonali, aperture panoramiche, scalinate e balconi dominano le prospettive ottiche creando un ambiente geometrico deconstruttivista e suggestivo che invita all’intrattenimento citando soluzioni progettuali già attuate ad esempio nei saloni d’ingresso del Louvre. La facciata che costeggia questo spazio d'entrata al museo e che ne accoglie tutti i servizi, dalla biglietteria alla libreria, è completamente in vetro e crea così una simbiosi tra il corpo nuovo e quello antico del museo. museo. Gli spazi espositivi veri e propri, sono racchiusi sul lato posteriore dell’edificio e rinunciano nella loro funzionalità radicale ad accenti architettonici espressivi e accentuati permettendo così al visitatore di concentrare tutta la sua attenzione sui contenuti delle esposizioni. Per spostarsi da un piano all’altro dell’edificio e da un reparto all’altro delle mostre tuttavia il pubblico torna a percorrere le scalinate, i ponti pedonali e soprattutto la scalinata a spirale che come una torre di Babele occupa un angolo del padiglione e ne diviene simbolo riconoscibile anche dall’esterno.
La nuova ala di Pei, insieme al museo ebraico di Daniel Liebeskind , al museo d'arte contemporanea di Kleihues all’interno dell'Hamburger Bahnhof o anche alla più antica Neue Nationalgalerie di Mies van der Rohe, diviene cosí un ennesimo esempio di un'architettura contemporanea che sempre di più contraddistingue l’inconfondibilità di Berlino. [...]
Sito web Deutsches Historisches Museum
Sito web I.M. Pei
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