di ROBERTO CATTANI
Da paradigma della miseria, le favelas brasiliane sono diventate un modello da seguire in tutto il mondo: lo ha deciso una commissione di esperti delle Nazioni Unite guidata dall'architetto italiano Pietro Garau.
La delegazione dell'Onu ha studiato in dettaglio due delle favelas di San Paolo, tra le maggiori del mondo, Heliopolis e Paraisopolis, nelle quali vive un terzo del milione di «favelados» della megalopoli paulista, e ha presentato in questi giorni le sue conclusioni.
«La qualità generale delle costruzioni delle favelas di San Paolo (rispetto a altre baraccopoli, ndr) è certamente più alta che nel resto del mondo, vi è una maggior percentuale di case fatte con materiali durevoli e resistenti – afferma Garau –. Il grande problema resta quello delle fognature, ma anche in questo senso le favelas brasiliane hanno condizioni di vita più igieniche che altrove».
Secondo il Comune di San Paolo, nelle due favelas il 92 per cento delle case è di muratura e ha l'acqua corrente, e gli abitanti dispongono di sei asili nido, tre scuole elementari, un ospedale, un commissariato e otto linee di trasporto pubblico. Inoltre, San Paolo è stata la prima città in Brasile e nel mondo a sancire una legge di regolarizzazione fondiaria delle favelas, che dà agli abitanti la proprietà della terra su cui vivono e li mette al riparo da eventuali sfratti.
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La scelta delle favelas di San Paolo come modello fa parte di un programma dell'Onu per migliorare le condizioni di vita di cento milioni di baraccati nel mondo entro il 2020. Per l'Onu, la definizione di baraccopoli o favela prende in considerazione caratteristiche come la difficoltà di accesso a acqua potabile e fogne, la distribuzione delle abitazioni, le caratteristiche «povere» delle costruzioni e l'insicurezza dell'ambiente. Secondo i calcoli Onu, vivono in baraccopoli in aree urbane povere 924 milioni di persone.
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