Nei territori lontani e estremi, quali edifici preservare e come? Quali edifici si possono considerare storici e perché? I pianificatori della città di Yellowknife in Canada hanno deciso di mantenere e restaurare gli Shacks, vere e proprie baracche che costituiscono però l'ultima connessione esistente con le miniere.
Ce lo racconta l'architetto Mariella Amodio architetto
Essere italiani significa essere cresciuti in un ambiente impregnato di storia, spesso materializzata in architettura. Significa essere cresciuti giocando tra i fori imperiali o tra i templi greci in Sicilia, tra la Basilica di San Nicola a Bari o il duomo di Santa Maria del Fiore a Firenze. I nostri occhi sono stati sottoposti da sempre a millenni di storia stratificata.
Essere italiani e architetti significa avere studiato, discusso, criticato, approvato la teoria del restauro di Cesare Brandi. Significa essersi scontrati almeno una volta durante la propria carriera in un attività di restauro.
Essere canadesi significa avere una storia piuttosto recente, una storia di colonizzazione di cui non tutti vanno fieri, vivere in una nazione multietnica. I veri monumenti sono i paesaggi, dalle famose cascate del Niagara, ai meno noti, seppur incredibilmente suggestivi, parchi nazionali di Banff e Jasper delle Rockies Mountains.
Essere canadesi e architetti significa non avere alcuna cultura del restauro.
La città di Yellowknife, capitale del Northwest Territories, fondata nel 1934 per accogliere miniere di oro e dagli anni 80 sede di istituti governativi, si è trovata recentemente a dover rispondere a domande quali: "Quali edifici bisogna preservare e come", "Quali edifici si possono considerare storici e perché'".
Il dibattito è nato intorno ad una serie di immobili, shacks, ubicati in un quartiere noto come Woodyard, in prossimità del Great Slave Lake, gigantesco lago, lungo ben 480 km, che circonda la città.
Si tratta di baracche, che costituiscono l'ultima connessione esistente con le miniere. Costruite negli anni '30 per ospitare i cercatori d'oro, i minatori o chiunque cercasse avventura nel Nord, sono gli edifici più antichi di Yellowknife.
Ne furono costruiti 75.
Negli anni, molte di queste strutture di legno sono crollate a causa del loro stato di degrado o sono state abbattute per dar posto a più grandi e moderne case. Quelli ancora esistenti sorgono su un terreno acquitrinoso sulla rive del lago. Se anche venissero abbattuti non si potrebbero costruire nuove case.
Attualmente se ne contano meno di 20.
Eccetto l'elettricità, di cui molti shacks oggi sono forniti, questi edifici mantengono le stesse caratteristiche che avevano nei primi loro anni di vita. Sono privi di acqua corrente, impianto idraulico e di riscaldamento.
Grandi contenitori d'acqua si trovano nelle cucine e sostituiscono l'acqua corrente. Buste di plastica, localmente chiamate honey bags fungono da gabinetto, esattamente come in un bagno chimico. La municipalità ogni lunedì mattina raccoglie le loro honey bags, colme di urine e feci. Una stufa a legna è la fonte di riscaldamento più comune, molti hanno una bombola di gas propano che funge da piano B qualora la prima dovesse venire a mancare (si tenga presente che Yellowknife è ubicata nel Sub-artico e nei giorni d'inverno più rigidi le temperature possono scendere fino a oltre -40°, per cui l'essere preparati ad una emergenza non è considerato un surplus). Lavarsi, non è un'operazione contemplata negli shacks. Per farsi una doccia bisogna andare nella vicina palestra o in abitazioni di amici e/o parenti.
I mobili spesso provengono dalla vicina discarica comunale, meglio nota come Y.K.E.A (YK è l'abbreviazione per Yellowknife), così denominata a causa dell'attitudine degli abitanti degli shacks e non solo ad aggirarsi presso di essa in cerca di qualsiasi cosa, dall'arredo, all'abbigliamento, ai regali di natale.
Le dimensioni sono quelle di un piccolo garage e sono dotati di un solo ambiente, ad eccezione della sala da bagno, se così possa essere definita. Gli interni sono caldi ed accoglienti grazie al duro lavoro di riqualificazione dei loro residenti.
Gli affitti si aggirano intorno ai 250$. Un affitto medio a Yellowknife si aggira intono ai 1.200$.
Degli originali shacks degli anni '30 mantengono solo lo stile di vita. I materiali originari sono stati, tutti, o quasi, cambiati negli anni. Il legno, internamente ed esternamente, ne fa da padrone.
Costruiti senza un permesso di costruire, non hanno un numero civico o indirizzo, sono conosciuti attraverso nickname quali Bird House (Casa dell'Uccello) o Silver Bullett (Pallottola d'Argento).
Gli shacks sono ancora in piedi grazie alla costante opera di riqualificazione/restauro dei loro residenti.
Vivere in uno shack significa abbracciare uno stile di vita, lo stesso spirito di libertà dei pionieri di Yellowknife.
I pianificatori della città avrebbero tutto il diritto di demolirli. Hanno deciso di mantenerli in vita. Chapeau ai pianificatori. I canadesi non avranno la nostra cultura del restauro, ma in questo caso, l'hanno applicata nel modo migliore.
Mariella Amodio, laureatasi nel 2010 in Architettura presso il Politecnico di Bari, nel marzo 2013 consegue il master internazionale di II livello in "Architettura-Storia-Progetto" presso l'Università Roma tre e presso University of Waterloo, Canada. Ama viaggiare e si interessa di arte e architettura.
Ha vissuto a Parigi, Toronto e attualmente risiede a Yellowknife (NT, Canada) dove lavora presso Nadji Architects, occupandosi della progettazione di edifici residenziali e commerciali di scala medio-grande in comunità remote del Canada.
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