Le immagini del terremoto che ha scosso il Centro Italia lo scorso 24 agosto mostrano danni non uniformi: accanto ad edifici sbriciolati si notano fabbricati comunque danneggiati, ma rimasti in piedi. A spiegare il fenomeno sono i ricercatori dell'Istituto per le Tecnologie della Costruzione (ITC), struttura scientifica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), insieme all'Università di Napoli Federico II, all'INGV e ai tecnici del ReLUIS, il consorzio interuniversitario che coordina l'attività dei Laboratori Universitari di Ingegneria Sismica.
Gli studiosi hanno elaborato i dati della Rete Accelerometrica Nazionale, ossia la rete di monitoraggio che registra la risposta del territorio italiano al terremoto, in termini di accelerazioni del suolo. Dati importanti per valutare gli effetti di un terremoto e per capire perché questi possono essere tanto diversi su strutture diverse. La risposta non può darla il dato relativo alla magnitudo e altrettanto ininfluente alla comprensione è la profondità dell'epicentro, ma la soluzione risiede in una parola chiave: risonanza.
A seconda della frequenza delle onde sismiche generate, un terremoto può essere molto dannoso per alcuni edifici e molto meno per altri, in particolare il sisma che ha scosso Amatrice e le altre cittadine del nostro Appennino, è risultato - afferma il professore e ingegnere Antonio Occhiuzzi, direttore dell'ITC-CNR - «fatale per edifici in muratura di 1-2 piani non costruiti secondo criteri antisismici, mentre gli effetti del sisma sono stati di uno o più ordini di grandezza inferiori per edifici più alti».
Dunque sono proprio gli edifici di 1-2 piani in muratura ad aver subito le maggiori accelerazioni orizzontali. Il sisma, in definitiva, ha generato in questi edifici un moto maggiore.
Costruzioni distrutte accanto ad edifici integri: quale il motivo?
Si tratta di reazioni ben conosciute nel campo della sismica e relazionate al naturale periodo di vibrazione degli edifici, che non è altro che il tempo impiegato da una struttura per compiere un'intera oscillazione sotto l'effetto di una sollecitazione, e varia con la massa e con la rigidezza dell'edificio. In particolare il periodo di vibrazione dell'edificio è strettamente legato all'altezza e al materiale con cui è costruito. E, quanto più il periodo di oscillazione naturale dell'edificio si avvicina al periodo delle onde sismiche generate dal terremoto, tanto più si ha un'amplificazione del moto dell'edificio.
E, semplificando il discorso, nei luoghi colpiti dal sisma erano proprio gli edifici in muratura più bassi ad avere un periodo molto vicino a quello delle onde sismiche, ecco perché per essi il terremoto è stato più severo.
La spiegazione tecnica degli ingegneri
A spiegarlo in termini più tecnici e precisi è il professore Occhiuzzi: «I risultati delle analisi - afferma - mostrano che il massimo contenuto energetico del moto sismico è corrisposto in molti casi ad un intervallo di frequenze compreso tra 5 e 10 Hz (o equivalentemente ad un periodo compreso tra 0,1 e 0,2 secondi). Poiché in prima approssimazione il periodo naturale di vibrazione degli edifici in muratura è stimabile nella decima parte del numero dei piani, il moto sismico ha prodotto i suoi maggiori effetti su edifici di uno o due piani (con periodi di vibrazione compresi tra 0,1 e 0,2 secondi), che, sulla scorta degli spettri di risposta mostrati nelle analisi, hanno subito accelerazioni orizzontali fortissime, in alcuni casi superiori all'accelerazione di gravità».
«Tali circostanze combinate - continua il direttore dell'ITC-CNR -, risultano fatali per edifici in muratura di 1-2 piani non costruiti secondo criteri antisismici, mentre gli effetti del sisma sono stati di uno o più ordini di grandezza inferiori per edifici più alti. Alla luce di tali considerazioni, le drammatiche fotografie riportate dalla stampa diventano più comprensibili».
Mariagrazia Barletta
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