«In Italia non ci sono più le condizioni per esercitare la professione in modo serio». Così, lo studio Schiattarella Associati scommette tutto sui mercati esteri e in particolare sull'Arabia Saudita, dove, al contrario dell'Italia, e così come accade in molti altri paesi del mondo, il progettista «ha una fortissima dignità sociale e viene riconosciuto come portatore di una tecnicità di alto profilo, di un "know how" insostituibile». Parola di Amedeo Schiattarella, alla guida dell'omonimo studio che si muove tra progetti internazionali, attività di ricerca e sperimentazione.
Lo studio ha realizzato importanti progetti in Italia - tra i più recenti, la sede della Escuela Espanola de Historia y Arqueologia in un edificio di pregio a Roma e la ristrutturazione del reparto di nefrologia e gastroenterologia pediatrica all'Umberto I di Roma - ma interesse e energie sono ora tutti rivolti verso l'estero.
Negli ultimi anni è diventata importante la presenza dello studio romano in Arabia Saudita, dove ha iniziato a lavorare vincendo due concorsi a inviti, ai quali hanno fatto seguito ben presto altre commesse. L'ultima - in ordine di arrivo - è la Moschea AlJabri nella città di Ha'il, destinata a diventare un complesso religioso, ma anche un centro civico di riferimento per la comunità locale. Lo studio ha inoltre firmato l'ampliamento del King Fahd Stadium di Riad e, ancor prima, i progetti per l'Addiriyah Art Center (un grande centro dedicato all'arte saudita, vincitore - nella categoria "Concept" - dell'Iconic Award 2016 bandito dal German Design Council) e per la Ceremony hall "Al Aredh Qasr" a Riad e la Celebration hall nel Quartiere diplomatico della Capitale saudita.
L'architetto Amedeo Schiattarella ci racconta le recenti esperienze professionali, in un dialogo in cui non mancano paragoni tra l'Italia e l'estero.
Moschea AlJabri nella città di Ha'il (Arabia Saudita)
Sarà realizzata su una superficie di 22.500 mq e sarà in grado di ospitare sino a 3mila fedeli
Architetto, l'arrivo di opportunità dall'Arabia Saudita è frutto di un vostro interesse particolare per quei territori o nasce dal caso?
È stato un fatto assolutamente casuale. Il nostro programma era quello, essenzialmente, di lavorare nei mercati esteri, giacché in Italia non trovavamo più le condizioni per esercitare la professione in modo serio. Cercavamo opportunità in paesi dove la professione venisse riconosciuta, apprezzata e retribuita in modo corretto. Abbiamo fatto esperienze a partire all'incirca dal 2000 in Corea del Sud, vi abbiamo lavorato per 7-8 anni in modo significativo, dopodiché abbiamo cercato altri paesi. In Arabia Saudita siamo arrivati in maniera del tutto fortuita essendo stati segnalati al Governatorato di Riad da uno studio di progettazione romano che da anni tentava di entrare nel mercato saudita, senza successo. A seguito di questa segnalazione siamo stati inclusi in una short-list di un concorso ad inviti che, poi, abbiamo vinto.
Di quale progetto si tratta?
Del Dq Celebration Hall a Riad
Ed è stata l'esperienza che vi ha aperto le porte dell'Arabia Saudita?
A seguito del concorso è iniziata la nostra attività progettuale per conto del Governatorato di Riad. Si è trattato di una specie di test. Alla fine il nostro committente, molto soddisfatto del risultato, ci ha invitato a partecipare ad un secondo concorso e abbiamo vinto nuovamente.
Si riferisce al concorso per l'Addiriyah art center?
Esatto.
E poi cosa è accaduto?
Che si è molto consolidata la nostra credibilità professionale e c'è stato un passaparola all'interno del mercato saudita, per cui il nostro studio è stato identificato come professionalmente affidabile ed in grado di dare risposte adeguate. Di conseguenza altri enti governativi hanno iniziato a chiederci di partecipare ad altre gare o concorsi ad inviti.
Lei faceva riferimento all'impossibilità di esercitare in modo serio la professione in Italia. Cos'è che avete trovato in Arabia Saudita e che manca nel nostro Paese?
Non solo in Arabia, ma in quasi tutto il mondo, il professionista ha una fortissima dignità sociale e viene riconosciuto come portatore di una tecnicità di alto profilo, di un "know how" insostituibile. Nessuno si sognerebbe mai di modificare un progetto senza il contributo dello stesso professionista, che rimane l'unico responsabile, nel bene e nel male, del progetto. A questo bisogna aggiungere la grande considerazione che viene ancora riservata alla cultura italiana. In contesti internazionali la competizione professionale si svolge ai massimi livelli e questo costituisce una sfida a dare il massimo. I nostri competitor sono, infatti, le più grosse società di ingegneria del mondo e, mi creda, noi non partiamo battuti.
Per partecipare a gare e concorsi di questo tipo fate squadra con altri gruppi?
Intanto la partecipazione a concorsi è solo ad inviti, quindi c'è un numero ristretto di partecipanti selezionati dalla committenza. E si è invitati a partecipare senza rimborso spese. Non abbiamo avuto la necessità di stringere alleanza con altri gruppi internazionali né con studi locali: partecipiamo solo ed esclusivamente come Schiattarella Associati.
Addiriyah art center, vincitore dell'Iconic Award, categoria "Concept". Vista dal wadi, mock-up del muro esterno e plastico
Che spazio occupano i progetti italiani rispetto alla totalità di lavori che in questo momento tiene impegnato il suo studio?
Il nostro interesse per il mercato italiano, in questo momento, è praticamente inesistente. I concorsi di architettura vedono la partecipazione e la vittoria di gruppi abbastanza conosciuti e di nomi abbastanza ricorrenti e quando si vincono, come ci è capitato sin troppo spesso, non vengono mai realizzati.
La partecipazione a gare, invece, trova vincitori che fanno sconti che in alcuni casi raggiungono il 70-75 per cento di ribasso sulla parcella stimata dall'ente banditore: la retribuzione è praticamente nulla e la redditività non c'è. Tra l'altro la professionalità che viene richiesta è abbastanza superficiale.
Quando noi facciamo un progetto per l'estero solitamente seguiamo il lavoro fino ai documenti per l'appalto, significa che facciamo tutto: dal concept al progetto esecutivo. Si tratta di 500-800 tavole a seconda delle condizioni, molto dettagliate, tutte realizzate secondo standard americani e quindi con elaborati codificati, fatte con una grande attenzione alla utilizzabilità facile del prodotto in cantiere, per evitare che ci siano aumenti di costo durante la realizzazione.
Le varie indagini sulla professione mettono in evidenza le difficoltà di accesso degli architetti italiani al mercato estero. Forse uno dei problemi maggiori risiede proprio nel fatto che il sistema italiano non dà la possibilità agli architetti di allenarsi, già in casa propria, per raggiungere standard elevati, confrontabili con quelli richiesti dalle gare all'estero, non crede?
Il problema è che i professionisti italiani non hanno potuto esercitare nel concreto queste capacità. Se la committenza non chiede un progetto approfondito e rigoroso, che si spinga a definire in modo coerente e verificato ogni dettaglio, il professionista non ha la possibilità di far crescere le proprie conoscenze tecniche e si adegua ad un mercato di basso profilo tecnico quale è quello italiano oggi. A questa scadente qualità della richiesta corrisponde una bassa redditività del settore: siamo di fronte ad un processo involutivo che rende sempre più remota la possibilità per gli architetti italiani di accedere e, quindi, di essere competitivi nel mercato internazionale, che al contrario richiede altissimi livelli di specializzazione.
Alla luce di questo discorso, immagino che anche l'attività di ricerca rappresenti per voi un valore importante. È così?
Assolutamente sì. Un intero settore di attività del nostro studio è dedicato a quello che abbiamo chiamato progetto "Spark". Si tratta di un lavoro di ricerca e di sperimentazione che noi svolgiamo indipendentemente dal singolo progetto, anche in collaborazione con le aziende che esprimono l'eccellenza del Made in Italy. Lavoriamo sui materiali, sulle tecniche di lavorazione, sulla definizione di dettagli, verificati anche mediante la realizzazione di mock-up, che talvolta si spingono alla scala 1:1. Si tratta di un'attività necessaria per chi vuole fare dell'innovazione uno dei caratteri distintivi del proprio lavoro.
Visto che i suoi progetti nascono dalla comprensione profonda sia del luogo che della cultura del posto, immagino che la ricerca abbia avuto un ruolo importante anche per comprendere realtà molto diverse dalla nostra, come nel caso dell'Arabia Saudita.
Certamente sì. Credo che questa attenzione rappresenti un obbligo morale che è parte fondante della nostra professione: l'architetto, quando assume un incarico si carica di una responsabilità che non riguarda solo la tutela degli interessi del suo committente (o quelli propri), ma che investe la tutela di valori dell'intera comunità. Questo significa responsabilità del rispetto dei luoghi (naturali o artificiali che siano) e delle identità culturali già esistenti con i quali, la sua architettura dovrà interagire.
Si tratta di un principio fondante per la nostra attività e per il ruolo sociale che noi svolgiamo quando progettiamo, per cui non possiamo farlo con autoreferenzialità, chiusi nel nostro studio e prigionieri delle nostre logiche disciplinari, indifferenti ai contesti, perché le conseguenze della nostra azione possono essere devastanti.
È una questione di sensibilità...
Diciamo che avere a che fare con contesti diversi e con culture che talvolta sono diverse dalla propria, impone un atteggiamento di grande cautela, di modestia piuttosto che di supponenza. Spesso vedo progetti che mi sembrano indifferenti rispetto ai luoghi in cui debbono essere realizzati, le cui connessioni con i territori e con i tessuti urbani circostanti sono di carattere meramente funzionale. Ci sono architetture calate dall'alto, come fossero dei dischi volanti che atterrano improvvisamente su un'area, che si affermano come una sorta di monumento all'architetto. Credo sia necessario piuttosto costruire un approccio alla progettazione che non è solo frutto di preparazione teorica, ma anche di una sensibilità verso il mondo che ci circonda. Questo significa andare sui posti, visitarli, allertare i propri sensi e la propria mente per cogliere le atmosfere, sentire i suoni, gli odori, i venti e la luce che percorrono l'aria, guardare e comprendere la configurazione dei suoli, osservare in lontananza gli elementi del paesaggio con cui l'architettura va a relazionarsi, oppure il contesto urbano nel quale ci si inserisce.
Sono tutte cose che dovrebbero far parte del Dna del progettista e che possono essere sviluppate solo avendo tempi e corrispettivi adeguati. In Italia è praticamente impossibile ed è per queste ragioni che piuttosto che rinunciare al nostro compito a servizio della comunità e di cadere nella trappola della mancanza di rispetto nei confronti della committenza, abbiamo preferito rivolgere le nostre attenzioni ad altri mercati sperando che per l'Italia tornino tempi migliori.
Mariagrazia Barletta
Ceremony Hall "Al Aredh Qasr" - Riad / Arabia Saudita
DQ Celebration Hall a Riad / Arabia Saudita
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