Se un edificio viene ricostruito con una sagoma diversa e in un'area di sedime che non corrisponde a quella dell'edificio demolito, le norme sulle distanze dal confine e da altri fabbricati vanno rispettate. E questo vale sia nel caso in cui l'intervento attuato rientri nella definizione di ristrutturazione edilizia e sia nel caso si tratti di nuova costruzione. Le norme da rispettare sono quelle contenute nel codice civile e quelle previste dai regolamenti edilizi e dagli strumenti di pianificazione. A dirlo è il Consiglio di Stato con la sentenza 4728 del 12 ottobre.
La pronuncia di Palazzo Spada ribalta la sentenza con la quale il Tar Piemonte aveva rigettato il ricorso che un cittadino aveva presentato contro il permesso di costruire rilasciato dal Comune di Settimo Torinese ad una società, la quale, ottenuto il titolo edilizio, aveva costruito un edificio residenziale al posto di un manufatto crollato nel 2009. Il nuovo edificio coincideva, quanto a volume, con quello crollato, ma, rispetto a questo, veniva traslato di circa cinque metri sul lato ovest del lotto. Lato sul quale affacciano le finestre dell'edificio di proprietà dell'appellante. Secondo il Tar l'intervento era classificabile come ristrutturazione edilizia e quindi non soggetto al rispetto delle distanze minime.
Le conclusioni del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato considera due casi: quello di un manufatto ricostruito con coincidenza di area di sedime e di sagoma e quello di un fabbricato costruito in un'area di sedime non coincidente con quella su cui insisteva l'edificio precedente e diverso per sagoma da quest'ultimo.
Nel primo caso il nuovo edificio, proprio perché "coincidente" per sagoma e area di sedime con il manufatto preesistente, potrà sottrarsi al rispetto delle norme sulle distanze contenute nel codice civile, nel regolamento edilizio e nelle norme di attuazione dei piani urbanistici, in quanto il fabbricato ricostruito è sostitutivo di un precedente manufatto che già non rispettava le distanze previste dalle norme, magari perché ad esse preesistente.
Nel secondo caso, invece, cambiando l'area di sedime e la sagoma, si è obbligati a rispettare le distanze prescritte dal codice civile, dal regolamento edilizio e dai piani urbanistici, perché il manufatto realizzato «rappresenta un novum». E, il rispetto delle distanze minime è dovuto - si legge ancora nella sentenza - indipendentemente dalla qualificazione dell'intervento come ristrutturazione edilizia o nuova costruzione.
Il rispetto della distanza minima di 10 metri
Quanto alla prescrizione, contenuta nel Dm 1444 del 1968, secondo la quale nelle zone territoriali omogenee diverse dalla "A" bisogna rispettare la distanza minima assoluta di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, questa - si legge nella sentenza di Palazzo Spada - riguarda i nuovi edifici, intendendosi per nuovi edifici «quelli costruiti per la prima volta e non già edifici preesistenti, per i quali, in sede di ricostruzione, non avrebbe senso prescrivere distanze diverse».
Mariagrazia Barletta
IL TESTO
Sentenza del Consiglio di Stato numero 4728 del 2017
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