Non può essere un regolamento a stabilire l'entità delle multe da applicare a esercenti e professionisti che non accettano pagamenti con moneta elettronica. Questo perché la legge che ha introdotto l'obbligo di munirsi di PoS, pur affidando ad un decreto del ministero dello Sviluppo economico la messa a punto delle sanzioni pecuniarie, non ha provveduto a stabilire quali criteri lo stesso dicastero avrebbe dovuto seguire per decidere quanto far pagare ai contravventori.
A dirlo è il Consiglio di Stato con il parere pubblicato lo scorso primo giugno, con il quale esprime parere contrario al Dm del ministero dello Sviluppo economico che fissa tali sanzioni. La bocciatura arrivata c'è ed è sonora: la Sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato «esprime parere contrario a che lo schema di decreto ministeriale prosegua il suo corso».
Come ormai è noto, la legge che ha introdotto l'obbligo di accettare pagamenti elettronici (la numero 221 del 2012) non ha stabilito sanzioni per i trasgressori, né l'hanno fatto leggi successive. Semplicemente, si è provveduto a rimandare la determinazione delle sanzioni pecuniarie ad un regolamento del ministero dello Sviluppo economico, da emanare di concerto con il ministero dell'Economia, sentita la Banca d'Italia.
In assenza di criteri direttivi, il Dm non può stabilire l'entità della sanzione
Quello schema di regolamento è stato messo a punto dal Mise e inviato al Consiglio di Stato, che lo ha bocciato con il recente parere, in quanto lo ha ritenuto «non rispettoso del principio costituzionale della riserva di legge». In estrema sintesi, secondo il Consiglio di Stato, non è corretto che a individuare le sanzioni sia un regolamento, in quanto mancano criteri direttivi, stabiliti dalla norma primaria, ossia da una legge, in base ai quali lo stesso Dm possa determinare l'entità delle sanzioni.
Per stabilire l'entità della sanzione, nello schema di regolamento, infatti, il Mise, non potendo trovare riferimento nella legge, rimanda all'articolo 693 del codice di procedura penale, che disciplina l'ipotesi di rifiuto di accettazione di monete aventi corso legale. In particolare, l'articolo 693 stabilisce che «chiunque rifiuta di ricevere, per il loro valore, monete aventi corso legale nello Stato, è punito con la sanzione amministrativa fino a euro 30». In pratica, l'obbligo di accettazione dei pagamenti con carte di debito e carta di credito viene assimilato, nello schema di decreto, all'obbligo di accettazione della moneta legale "fisica".
Conseguentemente, in caso di violazione dell'obbligo di accettazione dei pagamenti con carta di debito e carta di credito troverebbe applicazione la sanzione di 30 euro, da mettere anche in relazione con il numero di pagamenti rifiutati.
La "strada" del regolamento non è quella giusta
In assenza di riferimenti normativi, l'aver cercato riferimenti nel codice di procedura penale, è «uno sforzo certamente apprezzabile nell'ottica di dare attuazione ad una delega finalizzata ad introdurre le auspicate misure di contrasto a comportamenti evasivi ampiamente diffusi ma certamente non condivisibile sul versante strettamente giuridico», afferma il Consiglio di Stato.
Dopo aver ampiamente argomentato le sue considerazioni, il Consiglio di Stato spiega che la legge, nel rimandare ad un regolamento la predisposizione delle sanzioni pecuniarie, non rispetta il «principio costituzionale della riserva di legge». «D'altra parte, la mancanza di copertura costituzionale è, sia pure indirettamente, riconosciuta dallo stesso Ministero nella sua relazione laddove afferma che dubita che la individuazione della sanzione sia "legittimamente delegata ad un atto secondario la facoltà di introdurre nuove sanzioni in assenza di precisi criteri direttivi già contenuti nella norma primaria"».
«La Sezione - si legge ancora nel parere -, non solo condivide tale rilievo, ma ritiene di doverlo estendere ulteriormente anche con riferimento alla soluzione prospettata dal citato Dicastero in quanto anche la individuazione per analogia di una sanzione - nel caso specifico quella prevista dall'art. 693 c.p. - configuri una precisa ed insuperabile violazione al principio della riserva di legge (oltre che del divieto di applicazione dell'analogia ai fini della individuazione della sanzione)».
di Mariagrazia Barletta
Consiglio di Stato, parere numero 1446 del 2018
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