«Il viaggio è scoperta, è vita». «È bene allontanarsi dall'Italia, salvo poi tornare per rendersi conto della grande fortuna che ci è capitata: essere nati in Italia». Parola di Renzo Piano.
Nel suo studio di Genova, intorno a un tavolo rotondo che ricorda quello del suo ufficio in Palazzo Giustiniani, l'architetto e senatore a vita ci ha raccontato la sua idea di viaggio, facendo trasparire l'orgoglio di essere italiano, seppur con una nota di insofferenza verso un Paese che alza i muri e chiude le porte a chi rincorre la speranza in terra straniera. L'occasione per conversare viene dalla conclusione, nello studio di Genova, del Renzo Piano World Tour Award 2018, il premio che ha portato tre giovani architetti in giro per tre continenti alla scoperta delle opere di Renzo Piano, del Renzo Piano Building Workshop e dei grandi maestri dell'architettura. Il quarantesimo ed ultimo giorno era difatti riservato all'incontro con l'architetto genovese.
Mentre dal laboratorio per i modelli il rumore degli strumenti ci ricorda costantemente che siamo in un luogo in cui si lavora ancora con le mani, e che ha ereditato dalla bottega, tipicamente italiana, un fare ancora legato all'artigianalità, l'architetto lancia anche un invito ai giovani: «Siate coraggiosi - dice - ma anche tanto umili da ascoltare gli altri».
Architetto Piano, in riferimento al viaggio, all'apertura dell'anno accademico del Politecnico di Milano, qualche anno fa, lei consigliava agli studenti di esplorare il mondo, di lasciare l'Italia, salvo, poi, tornare. Poi le chiederò del viaggio, ma per ora: perché tornare?
Diciamoci la verità: è una fortuna essere nati in Italia. Questo è un Paese straordinario, solo che lo si comprende solo quando ci si allontana dall'Italia. C'è una sorta di fenomeno: si chiama assuefazione. Ci si assuefà alla bellezza, ci si assuefà anche alla bruttezza, ma comunque, i ragazzi che sono nati in Italia e cresciuti in Italia forse non si rendono conto, ad una certa età, della fortuna che è capitata loro, ma non per ragioni di bellezza ambientale soltanto, ma anche per eredità culturale. In fondo siamo dei nani sulle spalle di un gigante. Stiamo però attraversando momenti bui.
A cosa si riferisce?
Stiamo attraversando momenti bui, molto bui, in questo momento politicamente parlando, però passerà, non può non passare, perché è assolutamente indecente: questo è sempre stato un Paese generoso, tutt'altro che razzista, un Paese accogliente, aperto. La storia dell'Italia è di un Paese in mezzo al Mediterraneo che ha sempre accolto nel bene e nel male, un diverso modo di ragionare non ci appartiene.
Quindi la bellezza dell'Italia non è solo ambientale, non è solo quella del paesaggio, ma è anche la bellezza più profonda, quella che non si vede, quella che viene in superficie solo ogni tanto. Tutto questo, però, se ci si abitua, non si capisce più. E allora i giovani non è male che si allontanino, non fosse altro che prendendo le distanze e guardando lontano capiscono che essere nati in Italia è una grande fortuna. Questo poi non riguarda solo i giovani.
Infatti questo mi fa pensare al terremoto: in Italia la bellezza la riscopriamo quando ci crolla addosso.
La bellezza si scopre quando si distrugge, ecco allora che di botto capisci che c'è stato un problema.
La bellezza bisogna anche un po' guardarla da lontano (l'architetto abbandona l'argomento terremoto nda), anche quando si fa un mosaico, quando si fa un affresco, devi lavorare vicino, ma poi ogni tanto ti devi allontanare per forza, altrimenti non vedi le proporzioni, non capisci. Quindi questo allontanarsi è una buona cosa, ma non è un allontanarsi per andarsene è un allontanarsi per tornare. Difatti io vivo altrove, la mia vita è altrove, ma evidentemente ci stiamo incontrando qua perché è normale che succeda. Il viaggio è questo: il viaggio è la scoperta, è il modo per misurare.
Dunque, che cos'è il viaggio?
C'è chi ha scritto pagine meravigliose, anche poetiche, c'è un poeta greco: Kavafis, che ha scritto Itaca. Itaca è un bellissimo poema in cui si dice che non è Itaca che conta ma è il viaggio per cercare Itaca che conta. Il viaggio è la scoperta, il viaggio è la vita. Certo, hai bisogno di Itaca perché almeno sai che c'è un posto a cui non arriverai mai, ma che comunque ti attira. È un modo poetico per esprimersi però è vero che nel viaggio c'è la scoperta, c'è l'imprevisto, cerchi una cosa e ne trovi un'altra. Il viaggio è un po' come andare in una grande biblioteca a cercare un libro: è vero che cerchi quel libro, ma cercando quel libro ne trovi molti altri. C'è la sorpresa, c'è la scoperta e poi c'è il capire che ti è toccata una fortuna: sei nato in Italia. Questa è una cosa piuttosto importante.
Tra le opere visitate dai tre ragazzi che hanno vinto il RPWT Award, ce ne sono alcune di Louis Kahn, come la Exeter Library e altre di Franco Albini qui a Genova. Si tratta di architetti che credo siano stati importanti per lei. Che cosa le hanno insegnato?
Io per abitudine sono sempre stato una specie di carta assorbente: per antica abitudine ho sempre preso quello che c'è di buono da tutti, quindi credo che di maestri ne abbia avuti tanti. Kahn sì, lo è stato, ma è stato più un maestro quasi di comportamento, di ostinazione, perché era un uomo che lavorava tantissimo, un uomo che si addormentava addirittura sul tavolo la sera, lo trovavamo l'indomani mattina ancora addormentato, una cosa incredibile, però con un'esperienza completamente diversa. Invece Albini, che ho conosciuto molto prima, da studente, era un artigiano vero e proprio, nell'ufficio di via XX Settembre c'era una stanza, appena entrati a sinistra che ufficialmente era la meeting room, in realtà era un deposito di pezzi di modelli, un po' com'è qui, e lui passava ore a rigirarsi in mano un pezzetto di qualcosa per capire. Ho imparato qualcosa da ciascuna di queste persone, ma anche da Jean Prouvé, a distanza, perché Jean Prouvé l'ho conosciuto, ma mica tanto, all'École d'arts et métiers.
Che poi era in commissione per il Beaubourg..
Poi era naturalmente in commissione per il Beaubourg, ma lì ormai ero architetto ed era diverso. Se dovessi dire dei miei maestri è un po' difficile andare a stabilire quali siano stati i più significativi, però Albini è certamente stato molto importante, molto importante. E poi c'è stato un maestro che è difficile non citare, che non mi ha mai detto niente, che era mio padre. Lui stava zitto perché era genovese, diceva quattro parole al giorno, però è l'esempio di un padre che era un piccolo costruttore, perché era un piccolo costruttore. Essere piccoli costruttori non è come essere grandi costruttori, perché un grande costruttore è un manager. Era un piccolo costruttore con 10-15 operai, 20, lui sempre col cappello e la cravatta. Anche in cantiere: cappello e cravatta. Era un costruttore ai confini col capomastro. E uno così è un maestro, ti resta impresso.
Quindi ce ne sono tanti di maestri. È per quello che poi mi sono convinto che la bottega è una cosa importante. E la bottega è un'idea, non è solo italiana, è rinascimentale però la parola bottega è intraducibile: ogni volta che proviamo a tradurla in inglese, in francese, in tedesco, non ci riusciamo perché la parola bottega porta con sé molto più efficacemente in italiano questa idea di un luogo dove stai anche un po' zitto, non è che qualcuno ti spieghi. Qui ci sono dei ragazzi "a bottega", ma nessuno si mette a spiegare loro questo e quest'altro: prendono, assorbono, rubano, devono portar via, anzi sono chiaramente invitati a rubare, ma con la preghiera di restituire.
Restituire a chi?
Non restituire a noi, questo non importa, per restituire agli altri, magari aggiungendovi qualcosa, questo non è male. Allora: il furto a viso aperto e il compromesso di restituzione. E devo dire che viaggiare è rubare: prendere di qua, prendere di là. Non si prende solo andando a vedere le cose che abbiamo fatto noi, ma anche altre cose, si prende da mille cose. Il viaggio è scoperta, il viaggio è rapina, è prendere appunti. Io vado sempre in giro con un foglietto piegato così (ne estrae uno dal taschino della camicia nda) e lì dentro ci metto di tutto, ma soprattutto schizzi brutti, perché uno dei rischi peggiori per un architetto è fare schizzi belli, perché allora resta incastrato. Gli schizzi sono appunti, rapidi.
Gli scrittori, tutti quelli che ho conosciuto, prendono appunti scrivendo, un architetto prende appunti schizzando, ma ad un patto: che sia uno schizzo rapido e brutto, talmente brutto da non innamorarsi di quello schizzo e continuare a pensare invece alla realtà che è l'architettura. Non è che io inviti i ragazzi a fare degli schizzi brutti però attenzione a non innamorarsi mai dello schizzo. Oltre agli schizzi su un pezzo di carta, che è difficile fare belli, ci sono i computer che ti fanno delle cose che sono bellissime, a modo loro, ma sono sempre le stesse ed è una cosa terribile, spaventosa. I rendering, non ce l'ho mica con i computer, per l'amor del Cielo, ci mancherebbe, ma i rendering, questa specie di simulazioni, sono sempre bugiardi: o sono ben fatti e sono bugiardi perché ti illudono o sono malfatti e sono bugiardi perché ti deprimono.
Spesso non corrispondono alla realtà e alle realizzazioni..
Ma no, è una promessa falsa. È un falso e io ce l'ho con queste cose qui perché è come se un musicista imparasse a suonare su un pianoforte di quelli corretti. Suoni una nota sbagliata e il pianoforte te la corregge e te la mette giusta. Eh sì, oggi puoi scrivere a macchina, puoi scrivere anche male, tanto la macchina ci pensa lei a correggere. Non è possibile, non esiste, nel nostro mestiere non può essere così. Comunque, questo non c'entra niente col viaggio.
Tornando al Renzo Piano World Tour, l'altro tema legato al premio sono i giovani, per cui chiuderei con un suo messaggio rivolto a loro, partendo da un'opera oggetto dell'itinerario di quest'anno: il Centro Pompidou. Si tratta di un'architettura che ha rivoluzionato lo spazio del museo. Oggi se ne ha la consapevolezza, ma a suo tempo il progetto fu da molti considerato a dir poco irriverente. Lei consiglierebbe oggi ad un giovane architetto di essere coraggioso e un po' anche disubbidiente?
Beaubourg non è stato solo irriverente, ma è stato anche un po' irresponsabile, ma eravamo ragazzacci, lo abbiamo fatto. Io avevo 33 anni, Richard (Richard Rogers nda) ne aveva quattro di più, ne aveva 37 di anni, eravamo ragazzacci ma con un po' di esperienza, ma leggermente irresponsabili sì e questo veniva dal fatto che non pensavamo di vincere: come fai a vincere un concorso così, quindi dicemmo quello che ci veniva. Detto questo, certo che bisogna avere coraggio e bisogna sempre correre dei rischi. Io lo dico sempre ai ragazzi: i giovani hanno spesso il timore di sbagliare ed è giusto, ma bisogna superare la paura dell'errore e buttarsi, però per potersi buttare a fare errori è bene lavorare in gruppo perché quando si lavora in gruppo c'è una rete di salvezza, ci sono gli altri.
Spesso racconto ai ragazzi come a tutti sia capitato, ad una certa età - a chi è capitato a 12 anni, a chi a 15, 16, 17 anni - di fare per la prima volta una cosa: scrivere una frase, fare una sequenza musicale, un oggetto. A tutti è capitato di far qualcosa che gli è riuscita. E quella prima volta è essenziale ed è importante che ci sia qualcuno che ti dica: "Bravo l'hai fatta bene" e tu te ne renda conto. Quel momento lì è quando ti sorprendi, fai una roba, poi te la guardi, te la rigiri in mano, te la riguardi e dici: "Questo l'ho fatto io". E beh, ragazzi, non è mica una cosa da poco, è un gesto di coraggio. Poi però bisogna continuare.
In che modo?
La mia teoria è che è facile avere idee: basta decidere di averle, ma bisogna buttarsi e spesso rischi di fare delle corbellerie, ma se c'è un sistema, se si lavora in team, e se sei abbastanza sì coraggioso, ma anche abbastanza umile, ascolti anche gli altri e quindi hai una specie copertura. La creatività dell'architetto è una cosa da condividere e quando la condividi non la condividi solo con gli altri architetti, la condividi anche con gli ingegneri, con i costruttori. Intendiamoci: ascoltare tutti non vuol dire ubbidire, non è la stessa cosa, però devi capire.
L'invito a buttarsi c'è. C'è anche l'invito ad essere riflessivi: la sera prima di andare a letto è utile guardarsi allo specchio per capire se è giusto quello che si sta facendo, se si è convinti, perché è pericoloso il nostro mestiere, è un'arte pubblica la nostra, quindi è un'arte in cui non si deve sbagliare, non si può sbagliare. Se ti occupi di frivolezze puoi anche sbagliare, tanto non importa a nessuno, ma se ti occupi di cose serie non puoi sbagliare perché il tuo sbaglio va a pesare su tutti.
di Mariagrazia Barletta
#RPWT.2018 - Renzo Piano World Tour Award 2018
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