«Relativamente al crollo del Viadotto Morandi, merita chiarire che gli unici dati ufficiali di cui si è a conoscenza riportano la presenza, nella rete stradale italiana, di poco meno di 50.000 opere infrastrutturali tra ponti, gallerie e manufatti di importanza minore». A dirlo, affidando le sue parole ad una nota diffusa in risposta ad alcune notizie apparse sui media, è Antonio Occhiuzzi, direttore dell'Istituto di tecnologia delle costruzioni del Consiglio nazionale delle ricerche Cnr-Itc. Il direttore si era già espresso con considerazioni di carattere generale sulle possibili cause del crollo del Ponte Morandi di Genova (si veda la nota del 14 agosto). Crollo che ha stroncato 43 vite.
«La gran parte dei ponti stradali italiani - continua Occhiuzzi - è stata realizzata nel secondo dopoguerra, negli anni '50 e '60; di questi, una parte significativa è tutt'ora a servizio di arterie caratterizzati da elevati volumi di traffico, sia in termini di numero di veicoli pesanti che in termini di corrispondente intensità di carico. Incrociando i due fattori caratteristici ‘età superiore a 50 anni' e ‘volumi di traffico elevati' si arriva a stimare in circa 10.000 il numero di ponti e viadotti stradali che richiedono uno specifico controllo del grado di sicurezza statica».
Esiste una procedura per valutare il grado di sicurezza statica di ponti e viadotti e Occhiuzzi la descrive sinteticamente, precisando che «non risulta che tali procedure siano state applicate in modo sistematico alla rete stradale italiana e, di conseguenza, non esistono ‘liste' o ‘mappe' relative alla pericolosità dei ponti stradali italiani. A differenza di quanto riportato da vari organi dei mass media, il Consiglio Nazionale delle Ricerche non ha mai redatto tali ‘liste' o ‘mappe'».
Come si valuta il grado di sicurezza dell'infrastruttura?
«Il grado di sicurezza statica, pari al rapporto tra la ‘capacità di resistere' e la ‘domanda di resistenza' associata alle azioni agenti sull'infrastruttura, varia - spiega Occhiuzzi - tra 0 (corrispondente a una struttura pericolante) e 1 (corrispondente a un ponte perfettamente progettato e realizzato con le tecniche e le tecnologie odierne) e rappresenta una sorta di ‘voto' assegnato alla sicurezza strutturale dell'infrastruttura. Una volta che tale ‘voto' sia disponibile, l'ente gestore può decidere se accontentarsi del grado di sicurezza così misurato o tentare di aumentarlo mediante opere di manutenzione straordinaria o mediante l'abbattimento e la ricostruzione dell'infrastruttura. È evidente che nella generalità dei casi il voto assegnabile ad un ponte esistente è minore di 1».
«Per ciascuna opera da prendere in considerazione, è possibile determinare il ‘voto': recuperando la documentazione progettuale e quella esecutiva dell'epoca di realizzazione; rilevando le caratteristiche geometriche e materiche dell'opera; prelevando saggi e campioni dei materiali di cui l'opera si compone e sottoponendo tali campioni a prove di laboratorio; effettuando valutazioni quantitative sul comportamento strutturale dell'opera all'attualità; installando, eventualmente, sensori di varie tecnologie per valutare l'andamento del tempo del grado di sicurezza residuo (ma solo dopo aver effettuato la prima valutazione quantitativa). In assenza di tali procedure di valutazione quantitativa è impossibile dare giudizi di qualunque tipo in merito alla sicurezza», afferma il direttore del Cnr-Itc.
E - precisa Occhiuzzi -: «Non risulta che tali procedure siano state applicate in modo sistematico alla rete stradale italiana e, di conseguenza, non esistono ‘liste' o ‘mappe' relative alla pericolosità dei ponti stradali italiani».
Ingegneri: «Serve un piano nazionale di manutenzione delle infrastrutture»
«Elaborazione di un Piano nazionale di conoscenza dello stato di sicurezza delle opere d'arte infrastrutturali (ponti, viadotti, gallerie, opere di sostegno etc.), con un'anagrafe delle opere d'arte importanti, basata su dati messi obbligatoriamente a disposizione dagli enti proprietari o concessionari». È quanto proposto dal Consiglio nazionale degli ingegneri in una lettera inviata al premier, Giuseppe Conte.
Attraverso le conoscenze acquisite attraverso il Piano, che dovranno essere pubbliche e trasparenti, «sarà possibile programmare un piano complessivo degli interventi, a carico degli enti proprietari/gestori, la cui verifica, magari attraverso una Struttura di missione dedicata, dovrà rimanere in capo allo Stato che avrà il compito di raccordare i ministeri competenti e gli altri enti coinvolti», affermano gli Ingegneri.
Tra le proposte avanzate dal Cni, anche l'avvio di un «progetto generale delle infrastrutture in Italia, che rilanci fortemente l'economia e contribuisca a superare il gap con il resto d'Europa e tra le diverse aree del Paese (con particolare riferimento al nostro Mezzogiorno) diventando priorità nazionale».
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