di Pippo Ciorra
Per molti anni Alessandro Anselmi (che è del 1934) è stato una specie di decano della «giovane architettura romana». Dove per «giovane» non si intende certo un dato anagrafico, quanto una metafora complessa e contraddittoria che tiene dentro molte cose, alcune positive e altre negative: da un lato il carattere sperimentale della sua architettura, la capacità di dialogare e interagire con l'arte, l'abilità sottile, proiettata su grandi e affascinanti disegni a colori, di tenere sempre vivo il dialogo tra la storia e la contemporaneità, il ricorrere ossessivo di forme e figure archetipe; dall'altro l'impossibilità a incidere a sufficienza nelle vicende del proprio tempo e del proprio spazio, le poche occasioni per costruire, i rapporti difficili con un mondo accademico tendenzialmente lento nell'accettare le innovazioni, le inevitabili sconfitte nei confronti di una committenza pubblica e privata spesso gretta e ostile.
All'inizio degli anni ottanta Anselmi dette un primo scossone a questa condizione andando in Francia, vincendo alcuni importanti concorsi di progettazione e realizzando due bellissimi progetti: il municipio di Rezé-le-Nantes (1986) e la stazione/mercato di Sotteville-les-Rouen (1993). Nel 1997 la vittoria nel concorso per il nuovo municipio di Fiumicino, terminato circa un anno fa, gli ha infine permesso di realizzare anche in Italia un'opera importante e complessa, degna di un palcoscenico architettonico internazionale.
Questa mostra che gli ha voluto dedicare il MAXXI sancisce quindi nel modo migliore la qualità del lavoro e il ruolo essenziale che Anselmi svolge nell'architettura italiana, sulla base di una capacità figurativa e di un'attitudine alla sperimentazione tecnica ed espressiva certamente non inferiore a quella delle coccolatissime superstar dell'architettura internazionale. Proprio a proposito di «archistar», in realtà la prima buona notizia la mostra di Anselmi ce la dà ancora prima di entrare nel padiglione sopravvissuto alle demolizioni di via Guido Reni. Dallo spazio davanti all'ingresso e da uno stretto percorso che fiancheggia l'edificio è infatti possibile gettare un primo sguardo nel cantiere del Centro di Arte Contemporanea progettato da Zaha Hadid. Le demolizioni sono finite, si vede un grande scavo che corrisponde alle fondazioni e alla parte interrata del museo e si ha finalmente l'impressione che l'ambizioso programma lanciato sei anni fa dal ministero dei beni culturali stia avvicinandosi a felice conclusione.
Entrando poi all'interno della nuova sede provvisoria del MAXXI si viene immediatamenti avvolti nell'atmosfera spaziale delle architetture anselmiane, sia perché tutte le pareti sono ricoperte di grandi disegni a colori (molti «quadri» autografi dell'autore, poi disegni tecnici, grandi immagini elaborate al computer), sia perché lo spazio è dominato da una grande scultura progettata da Anselmi, lunga una ventina di metri e alta come tutto il padiglione, che rappresenta il suo tipico «animale» architettonico, ricorrente in molti progetti, e che accoglie al suo interno una sequenza di video proiezioni. Tra il «millepiedi» e le pareti lo spazio è occupato dagli infiniti modelli che raccontano bene anche ai non addetti ai lavori le «storie» dei vari progetti, dalle prime soluzioni più schematiche fino ai progetti definitivi, accurati, concreti, eppure mai privi della forza comunicativa e concettuale del segno di Anselmi. Si ritrovano volentieri i plastici e le immagini di alcuni dei migliori progetti di Anselmi rimasti sulla carta: quello per il Padiglione Italia, la nuova Stazione Tuscolana, i molti progetti di case collettive, di università, di teatri. Nella parte più lontana dall'ingresso, intorno a un inquietante labirinto rosso a spirale, si dispongono le immagini dell'attività meno recente di Anselmi: i lavori del GRAU, col famoso cimitero (Parabita) a forma di sezione di capitello, la facciata della Biennale della Via Novissima, gli infiniti progetti per Roma, gli anni inclementi del «postmodernismo» architettonico e delle «relazioni pericolose» con la storia.
Cantiere Hadid a parte, la mostra di Alessandro Anselmi sembra convincere per molti e buoni motivi. Perché era ora che la DARC, dopo la mostra su Zaha Hadid e altre iniziative storiche o tematiche dedicasse un'esposizione importante al lavoro di un architetto italiano . Perché l'osservazione dei progetti e degli edifici di Anselmi (come quelli di altri architetti italiani) ci rende un po' più ottimisti sui destini della nostra vilipesa e reietta architettura. Perché quella esposta è un'architettura che ci rende meno difficile credere che sia possibile un'architettura allo stesso tempo internazionalmente adeguata e non immemore delle qualità e delle specificità di chi lavora in Italia e a Roma. Rimane un unico dato un po' amaro - da offrire però più al mondo della committenza e della critica che agli architetti - che ha a che fare con la tremenda sproporzione tra la quantità e la qualità dei progetti messi in mostra da un architetto italiano di sicuro livello internazionale e il numero di edifici realizzati, belli, ma ancora veramente troppo pochi.
la mostra «Alessandro Anselmi. Piano Superficie Progetto»
13 marzo – 16 maggio 2004
MAXXI - Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo
Roma, via Guido Reni 2
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