Addio a Vittorio Gregotti, architetto, urbanista e teorico dell'architettura. Era ricoverato a Milano per una polmonite causata dal coronavirus. A darne notizia (attraverso i social) è stato Stefano Boeri: «Un docente, editorialista, uomo delle istituzioni, che - restando sempre prima di tutto un architetto - ha fatto la storia della nostra cultura. Concependo l'architettura come una prospettiva sull'intero mondo e l'intera vita». Scompare, all'età di 92 anni, uno tra gli ultimi architetti-intellettuali, che ha avuto un ruolo di primo piano, non solo come progettista, ma anche nel dibattito teorico sull'architettura.
Gregotti ha insegnato all'Iuav di Venezia e alle Facoltà di Architettura di Milano e Palermo. Nei suoi progetti il territorio è il punto di partenza per dare forma a architetture complesse, dal linguaggio misurato razionalmente in ogni sua componente. È stato direttore di Casabella dal 1982 al 1996 e grande animatore del dibattito culturale sull'architettura, criticandone - specie negli ultimi tempi - la deriva verso esiti sempre più legati alla comunicazione di un'immagine.
Ancora attuale la sua lezione: «Cercate di non essere originali, né tanto meno "artisti" per volontà a priori: poiché il nostro obiettivo è di lunga durata, dobbiamo fare cose che appaiono come fossero sempre state [..]. Bisogna star lontani da ogni preoccupazione a priori di linguaggio espressivo riconoscibile. Esso verrà dopo e sarà ciò che noi siamo stati lungo tutto il processo di progettazione [..]. La verità specifica è quella del sito: la geografia del sito come modo di essere della sua storia è ciò che, limitando, permette di agire. [..] Dico spesso che il progetto proviene dalla tradizione del mestiere e dalle regole della disciplina ma che solo lo scontro con il sito dà concretezza al progetto», scriveva nel 1986 (premessa alla monografia Vittorio Gregotti, a cura di Crotti, Zanichelli, Bologna).
Centro Culturale Belém a Lisbona. Foto: M. Barletta
Ha lavorato per Auguste Perret, è stato allievo di Ernesto Nathan Rogers, ha lavorato con Ludovico Meneghetti e Giotto Stoppino (1952-67), per poi fondare nel 1974 lo studio Gregotti Associati. Ha progettato il quartiere Bicocca a Milano, rinato dalla trasformazione del polo Pirelli, lo Zen a Palermo (mai realizzato così come l'aveva progettato, ha ribadito in più occasioni) e il quartiere Cannaregio a Venezia. Scendendo di scala, ricordiamo il centro culturale Bélem, a Lisbona, realizzato di fronte al monastero - patrimonio Unesco - dos Jerónimos, progettato con Manuel Salgado. E poi il Teatro degli Arcimboldi a Milano, gli stadi di Genova e di Barcellona, il Complesso parrocchiale della Beata Vergine Maria di Loreto a Bergamo.
I messaggi di cordoglio arrivano anche al di fuori dei confini nazionali e la notizia rimbalza sui media dalla Francia al Portogallo, dalla Svizzera alla Spagna. «Con profonda tristezza salutiamo Vittorio Gregotti, uno dei nostri più grandi architetti e ambasciatori nel mondo. Milano gli deve moltissimo, dalla prima sala realizzata alla Triennale nel 1951 fino al quartiere Bicocca da lui interamente riprogettato», è il saluto di Beppe Sala, sindaco di Milano. «È stato un maestro dell'architettura italiana. Un grande uomo di cultura, al quale dobbiamo molto e che non dimenticheremo», ricorda Ferruccio Resta, rettore del Politecnico di Milano. Si unisce al cordoglio il ministro Dario Franceschini: «Con profonda tristezza apprendo della scomparsa del professor Vittorio Gregotti. Un grande architetto e urbanista italiano che ha dato prestigio al nostro paese nel mondo. Mi stringo alla famiglia in questa triste giornata».
Ricordo affettuoso anche dalla Triennale Milano: «Nella sua lunga carriera ha partecipato a numerose Esposizioni Internazionali, tra cui la XIII Triennale del 1964 per cui ha curato la sezione introduttiva con Umberto Eco».
di Mariagrazia Barletta
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