L'equo compenso è legge: il professionista deve pretendere un compenso conforme ai parametri

di Mariagrazia Barletta

La pubblica amministrazione e i cosiddetti "clienti forti" devono corrispondere al professionista un compenso equo. Per essere tale, il compenso deve essere conforme alle disposizioni dei cosiddetti decreti parametri e risultare proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto e al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale.

Inoltre, diventa obbligatorio per il professionista pretendere, verso i "clienti forti", un compenso che sia equo, proporzionato alla prestazione resa e conforme ai parametri. L'eventuale violazione può essere sanzionata dall'ordine professionale.

È quanto dispone la proposta sull'equo compenso che, con l'approvazione definitiva alla Camera, arrivata mercoledì 12 aprile, è diventata legge. Ora si attende la pubblicazione in Gazzetta ufficiale e la conseguente entrata in vigore.

Il testo approvato in via definitiva

Dunque, la legge tutela il professionista nei confronti della pubblica amministrazione e delle società a partecipazione pubblica, nonché di imprese bancarie e assicurative e grandi imprese.

Più precisamente, per grandi imprese si intendono quelle che nell'anno precedente al conferimento dell'incarico abbiano occupato alle proprie dipendenze più di 50 lavoratori o presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro.  Va ricordato che già nel 2017 (con il Dl 148) sono state introdotte tutele verso i clienti "forti", individuati nelle imprese bancarie e assicurative e nelle imprese diverse dalle Pmi. Queste ultime, in base ai parametri europei, si identificano con le aziende che occupano meno di 250 persone, con fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro. Dunque, rispetto alle norme già in vigore, la nuova legge allarga la platea di clienti verso i quali si applicherà l'equo compenso. 

Le nuove disposizioni - va precisato - non si applicano alle convenzioni sottoscritte prima dell'entrata in vigore della legge.

Per effetto delle nuove misure, inoltre, si considerano nulle alcune clausole contrattuali svantaggiose per il professionista, tra queste quelle che prevedono un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali. Sono considerate nulle anche «le pattuizioni che vietino al professionista di pretendere acconti nel corso della prestazione o che impongano l'anticipazione di spese o che, comunque, attribuiscano al committente vantaggi sproporzionati rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro svolto o del servizio reso» dal professionista.

L'elenco delle clausole vessatorie, e quindi nulle, è ben lungo. Tra quelle elencate vi è la possibilità del cliente di modificare unilateralmente le condizioni del contratto e la facoltà del cliente di pretendere prestazioni aggiuntive in forma gratuita. Il cliente non può inoltre pretendere un'anticipazione delle spese a carico del professionista. Non è inoltre possibile prevedere tempi di pagamento superiori a 60 giorni e sono nulle anche le clausole che impongono al professionista la rinuncia al rimborso delle spese connesse alla prestazione dell'attività professionale oggetto della convenzione. La nullità delle singole clausole non comporta la nullità del contratto, che rimane valido ed efficace per i restanti contenuti.

La convenzione, il contratto, l'esito della gara, l'affidamento, la predisposizione di un elenco di fiduciari o comunque qualsiasi accordo che preveda un compenso inferiore ai valori determinati secondo il Dm Parametri possono essere impugnati dal professionista innanzi al tribunale competente, al fine di far valere la nullità della pattuizione e di chiedere la rideterminazione giudiziale del compenso per l'attività professionale prestata.

Esigere un compenso che sia giusto, equo, proporzionato alla prestazione professionale e conforme ai parametri diventa un obbligo: l'eventuale violazione può essere sanzionata dall'ordine professionale. Dovranno essere emanate norme deontologiche ad hoc per sanzionare il professionista che violi le disposizioni sull'equo compenso e che, nel predisporre il contenuto della convenzione, ometta di esplicitare alla controparte che il compenso dovrà comunque rispettare tale disciplina. Infine, «i Consigli nazionali degli ordini o collegi professionali sono legittimati ad adire l'autorità giudiziaria competente qualora ravvisino violazioni delle disposizioni vigenti in materia di equo compenso».

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