Le prescrizioni in materia di distanze minime tra fabbricati, contenute nel Dm 1444 del 1968, sono imperative e inderogabili e vanno rispettate anche se gli edifici, quello pertinenziale e quello principale, sono collocati all'interno di un'area che afferisce ad un unico proprietario. È quanto si evince dalla sentenza del Consiglio di Stato numero 5663 del 2023.
Ad appellarsi al Consiglio di Stato, contro il Comune di Pistoia, per la riforma della sentenza del Tar Toscana, è il proprietario di un ex mulino edificato su un terreno sul quale insiste un altro edificio (di modeste dimensioni) costituito da un unico piano fuori terra articolato in due locali a uso ripostiglio, separato dal fabbricato principale da un "gorile" e anch'esso ricadente nella stessa proprietà.
Nel 2004 il proprietario dell'ex mulino presenta al Comune la domanda di condono per un manufatto costituito da un secondo locale accessorio a forma trapezoidale a uso ripostiglio-sgombero, realizzato in aderenza alla esistente dipendenza, tanto da formare un unico corpo di fabbrica, il tutto per una superficie complessiva di 15,40 mq ed un'altezza non superiore a due metri fuori terra. Il Comune rigetta la domanda, e tra i motivi del diniego del condono, vi è la presenza di una distanza insufficiente tra l'abuso e l'edificio di fronte.
Secondo il ricorrente, la sentenza del Tar sarebbe errata per diverse motivazioni, tra queste l'aver considerato il manufatto pertinenziale soggetto alle regole civilistiche sulle distanze tra fabbricati, nonostante il proprietario dell'edificio pertinenziale e di quello principale sia lo stesso. Secondo l'appellante, infatti, le prescrizioni sulle distanze minime tra fabbricati possono trovare applicazione solo nell'ipotesi in cui la distanza riguardi manufatti collocati in terreni di proprietà distinte, confinanti tra loro e non invece, come nel caso dei fabbricati oggetto della sentenza, nell'ipotesi di un edificio pertinenziale situato all'interno della stessa area, afferente ad un unico proprietario, in cui ricade l'edificio principale.
Il Consiglio di Stato conferma la posizione del Tar, affermando che, secondo la giurisprudenza, «le norme sulle distanze tra le costruzioni, integrative di quelle contenute nel Codice civile, devono essere applicate indipendentemente dalla destinazione dello spazio intermedio che ne risulti e prescindendo dall'appartenenza di tale spazio a terzi».
«La disposizione contenuta nell'art. 9 del D.M. n. 1444 del 1968, che prescrive la distanza di dieci metri che deve sussistere tra edifici antistanti - si legge nella pronuncia -, ha carattere inderogabile, poiché si tratta di norma imperativa, la quale predetermina in via generale ed astratta le distanze tra le costruzioni, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza; tali distanze sono coerenti con il perseguimento dell'interesse pubblico e non già con la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione, tutela che è invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile».
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