Arrivare al traguardo Ue dell'azzeramento del consumo di suolo netto entro il 2050. Favorire il riuso, il rinnovamento dei tessuti edilizi incompiuti o che presentano funzioni non più sostenibili. Incentivare la sostituzione dei relitti urbani: quegli edifici dismessi che sono in stato di abbandono e di degrado. Ma anche: migliorare la permeabilità dei suoli e la qualità di vita nelle periferie, realizzare infrastrutture strategiche per lo sviluppo ecosostenibile e tutelare i centri storici.
Sono alcuni degli obiettivi del disegno di legge sulla rigenerazione urbana appena assegnato alla Commissione Ambiente del Senato (primo firmatario, Maurizio Gasparri di FI). Una proposta che tenta di costruire una rampa di lancio per i progetti di rigenerazione urbana, prevedendo incentivi e facilitazioni che passano anche per precise deroghe alla normativa in vigore. Un testo che prevede un fondo ad hoc che sarà ripartito ai comuni tramite bandi regionali. E poi, spazio ai concorsi: se in ballo ci sono risorse pubbliche, il comune o provvede alla progettazione in-house o segue la strada della competizione tra idee.
Dunque, dopo il tentativo naufragato con la caduta del governo Draghi, la rigenerazione urbana ritorna tra i temi all'esame del Parlamento. I principi cardine del disegno di legge del 2019 e di quello che si appresta a iniziare il suo iter parlamentare, sono pressoché gli stessi, compreso l'obiettivo dell'azzeramento del consumo di suolo.
La governance della rigenerazione
Il proposta di legge affida al ministero delle Infrastrutture diversi compiti, tra cui: l'aggiornamento degli obiettivi del Pinqua (Programma innovativo nazionale per la qualità dell'abitare), la promozione di progetti faro condivisi, per progettazione e gestione, tra più livelli di governo, l'individuazione di progetti e programmi da sottoporre alla misurazione dell'impronta ecologica e l'attivazione dei privati come investitori e come risorsa attiva nei processi di co-progettazione. Ovviamente, le regioni saranno tenute ad esercitare la potestà legislativa concorrente in materia di governo del territorio nel rispetto dei princìpi contenuti nella proposta, qualora dovesse diventare legge. Sono fatte salve, inoltre, le disposizioni regionali in materia di rigenerazione urbana e recupero edilizio già in vigore.
Le regioni dovranno legiferare in materia, se non l'hanno già fatto, introducendo specifiche semplificazioni e incentivi per favorire gli interventi di rigenerazione. Tra le altre cose, dovranno introdurre la possibilità di effettuare modifiche della sagoma e di ottenere deroghe ai limiti stabiliti dal Dm 1444 del 1968 relativamente alle distanze tra fabbricati, alle densità fondiarie e alle altezze massime, necessarie per l'armonizzazione architettonica degli interventi con gli organismi edilizi esistenti. È inoltre previsto che le regioni rendano ammissibili le modifiche di destinazione d'uso anche in deroga allo strumento urbanistico.
I comuni, oltre a dover perimetrare gli ambiti urbani oggetto di interventi di rigenerazione a valere su risorse statali, regionali o comunali, inserendoli nella programmazione, dovranno ridurre i tributi o canoni di qualsiasi tipo, dovuti per l'occupazione del suolo pubblico connessa alla realizzazione degli interventi di rigenerazione urbana.
Piano nazionale di rigenerazione urbana
Si prevede anche la realizzazione di un piano nazionale per la rigenerazione urbana da emanare con un Dpcm, su proposta del ministero delle Infrastrutture, sentiti la Conferenza unificata e il Comitato interministeriale per le politiche urbane. Gli obiettivi del piano nazionale sono molteplici e comprendono l'individuazione delle tipologie di intervento da ammettere ai finanziamenti nazionali, la definizione degli obiettivi di rigenerazione urbana e la scelta dei criteri, basati su indicatori territoriali socio-economici, per definire le priorità di intervento.
La rigenerazione deve passare per il concorso di progettazione
Gli interventi previsti dalla programmazione comunale, che beneficiano di risorse pubbliche, devono essere realizzati attraverso lo strumento del concorso di progettazione qualora l'amministrazione non provveda da sola a delineare i progetti. Una disposizione che metterebbe i concorsi in primo piano nel ridisegno dei territori.
I comuni dovranno, dunque, dotarsi di una programmazione comunale di rigenerazione urbana per individuare gli obiettivi che si intendono perseguire in termini di: messa in sicurezza, resilienza del territorio rispetto ai pericoli naturali, manutenzione e rigenerazione del patrimonio edilizio pubblico e privato esistente. Dovranno elaborare strategie ad hoc anche per lo sviluppo sociale, ambientale ed economico, per la valorizzazione degli spazi pubblici, delle aree verdi e dei servizi di quartiere, nonché per il miglioramento della mobilità sostenibile.
Sulla base della perimetrazione effettuata sulla cartografia del Geoportale cartografico catastale dell'Agenzia delle entrate, i comuni dovranno, tra l'altro, indicare gli interventi pubblici e i benefici connessi alla rigenerazione urbana del patrimonio edilizio esistente, prevedendo - nel rispetto di determinate condizioni che l'amministrazione dovrà individuare - incrementi fino ad un massimo del 35% della volumetria o della superficie lorda esistenti.
Fondo nazionale per la rigenerazione urbana
Si prevede l'istituzione, presso il ministero delle Infrastrutture, del Fondo nazionale per la rigenerazione urbana, con una dotazione pari a 50 milioni di euro per il 2023, 100 milioni per gli anni 2024 e 2025, e 300 milioni annui a decorrere dal 2026 e fino al 2036.
Le risorse sono destinate al finanziamento degli interventi di rigenerazione attuativi del Piano nazionale e a specifiche spese (progettazione, demolizioni, ristrutturazione del patrimonio pubblico, oneri per il trasferimento dei nuclei familiari, costo dei processi partecipativi e di misure per il mitigamento climatico) per l'attuazione di interventi ricompresi nei piani comunali di rigenerazione urbana.
Per beneficiare delle risorse del Fondo, inoltre, gli interventi comunali devono rispondere a una serie di requisiti. Devono conseguire un consumo di suolo pari o inferiore a quello originario; devono raggiungere la classe energetica A per gli edifici o ottenere un miglioramento dello standard di efficienza energetica degli stessi in conformità alle direttive europee.
Gli interventi accedono al Fondo se conseguono un adeguamento sismico rispettoso dei livelli di sicurezza previsti dalle norme tecniche; se prevedono la realizzazione di aree verdi e servizi ecosistemici, l'incremento dei servizi pubblici, la ripermeabilizzazione del suolo e il recupero del tessuto produttivo e commerciale.
L'iter parlamentare
Già l'iter del precedente Ddl sulla rigenerazione urbana non era stato del tutto lineare, segno che il tema è delicato e divisivo. Nella scorsa legislatura i contenuti del Ddl non riuscivano a mettere d'accordo le forze politiche, imprenditoriali e gli enti locali. Anche la ragioneria dello Stato intervenne con rilievi sulla relazione tecnica predisposta dal ministero delle Infrastrutture, dando «parere contrario all'ulteriore corso del provvedimento».
Diverse le criticità riscontrate in quella sede, tra cui una mancanza di coperture finanziarie e un disallineamento tra le previsioni del Ddl e il principio, conosciuto con l'acronimo Dnsh, del «non arrecare danno significativo all'ambiente». Poi i profili problematici vennero superati grazie ad interlocuzioni tra i ministeri dell'Economia e dell'Ambiente e la proposta riprese la marcia arrestata poco dopo con la caduta del governo Draghi. Bisognerà vedere se ora la nuova e analoga proposta possa avere vita più facile per arrivare al traguardo della promulgazione.
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