Maglie nuovamente più larghe per il conflitto di interesse, che il nuovo Codice degli Appalti (D.Lgs. 36 del 2023) ha depotenziato. È l'effetto di un emendamento al decreto Proroghe approvato in commissione Finanze al Senato. Il riferimento è alle misure che tentano di scongiurare la possibilità che il personale della stazione appaltante e i prestatori di servizi, che operano per suo conto, possano avere un ruolo in procedure di affidamento per le quali hanno un interesse personale, economico, finanziario, diretto o indiretto.
«Si ha conflitto di interessi - recita attualmente l'articolo 16 del Codice - quando un soggetto che, a qualsiasi titolo, interviene con compiti funzionali nella procedura di aggiudicazione o nella fase di esecuzione degli appalti o delle concessioni e ne può influenzare, in qualsiasi modo, il risultato, gli esiti e la gestione, ha direttamente o indirettamente un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia concreta ed effettiva alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di aggiudicazione o nella fase di esecuzione».
Sulle nuove disposizioni sul conflitto d'interessi era stata molto critica l'Anac, che aveva ravvisato diversi nodi da risolvere. Innanzitutto, secondo l'Authority le parole "concreta ed effettiva" - aggiunte rispetto alle direttive europee contribuiscono, rispetto alle disposizioni eurounitarie, a ridurre l'ambito applicativo del conflitto di interessi. Ora le parole "concreta ed effettiva" vengono rimosse - come si diceva - da un emendamento al decreto Proroghe approvato in commissione Finanze al Senato. Dunque, il conflitto di interessi viene nuovamente esteso in accordo con le direttive Ue.
Va detto che, sempre riguardo al conflitto di interessi, l'Anac aveva ravvisato altri punti critici. Tra questi, l'introduzione di «una sorta di "inversione dell'onere della prova" che non ha precedenti a livello comunitario», e che è in contrasto anche con quanto affermato dalla Corte di Giustizia, scriveva l'Authority nei suoi rilievi.
In pratica, secondo il Dlgs 36 del 2023, l'onere della prova ricade su chi invoca il conflitto di interessi. Più nel dettaglio - secondo il nuovo Codice - «la percepita minaccia all'imparzialità e indipendenza deve essere provata da chi invoca il conflitto sulla base di presupposti specifici e documentati e deve riferirsi a interessi effettivi, la cui soddisfazione sia conseguibile solo subordinando un interesse all'altro». Ma ciò sarebbe contrario - rilevava sempre l'Anac - a quanto affermato dalla Corte di Giustizia in una sentenza del 2015 (del 12 marzo, causa C538/13), secondo cui nel caso in cui venga messa in dubbio l'imparzialità di un ausiliario dell'amministrazione aggiudicatrice, spetta poi a quest'ultima ogni ulteriore verifica sul punto, anche in funzione dell'eventuale prova contraria da fornire in sede processuale. Dunque, contrariamente al Codice Appalti italiano, la Corte assegna l'onere della verifica dell'esistenza di eventuali conflitti di interesse alla specifica ed esclusiva competenza dell'amministrazione.
Infine, il nuovo Codice Appalti elimina il riferimento ad una specifica previsione delle direttive eurounitarie, che pone in capo alle stazioni appalti l'onere di attivarsi al fine di prevenire i conflitti. Anche questo è stato messo in evidenza dall'Anac come un punto critico.
Un'altra modifica al Codice degli Appalti, contenuta sempre nell'emendamento approvato in commissione Finanze, riguarda le procedure competitive con negoziazione (art. 73). Più nel dettaglio, viene portato da 10 a 30 giorni il termine minimo per la ricezione delle domande di partecipazione.
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