L’intervista all’architetto:
- Innanzitutto, chi è l’arch. Giulio Renzi? Ci racconta qualcosa di lei e della sua attività?
Mi sono laureato con lode in Architettura presso l’Università “La Sapienza” di Roma e già da studente ho iniziato a collaborare in qualità di assistente alla didattica ai corsi di Progettazione Architettonica tenuti dal Professor Architetto Vincenzo Giuseppe Berti. Nel 2006 sono stato Tutor a contratto presso il medesimo Ateneo e nello stesso anno ho vinto un posto per il Dottorato di Ricerca presso il Dipartimento di Architettura e Costruzione, Spazio e Società, che ho frequentato fino al luglio 2011, elaborando un report di Dottorato sul tema “Genius loci: paesaggio, ambiente, architettura”.
Nel 2004 ho fondato a Roma con gli architetti Michele Antonelli e Hanna Manassa, amici ed ex compagni universitari, il gruppo di progettazione Deonstudio di cui dal 2020 fa parte anche l’architetto Veronica della Ragione. Il Deonstudio si struttura sempre più come una piattaforma aperta e multidisciplinare partecipando in forma individuale ed associata a Concorsi di Progettazione architettonica ed urbanistica nazionali ed internazionali, ottenendo diversi premi ed incarichi.
Nel novembre 2008 da Roma mi sono trasferito a Milano ed ho aperto la seconda sede del Deonstudio per cui coordino e redigo sia progetti di interior e industrial design che progetti architettonici confrontandomi con la scala ridotta e allargando il campo d’indagine su scala urbana, sviluppando Masterplan e progetti di trasformazione di intere aree urbane in Italia e all’estero. Dal 2016 sono Membro della Commissione del Paesaggio del Comune di Rho di cui nel 2018 sono stato nominato Presidente, mandato attualmente in carico.
- Qual è la sua visione nel progettare?
Ritengo fondamentale saper osservare, ascoltare e quindi recepire di cosa luoghi e committente abbiano bisogno; il progetto per essere riuscito deve essere la migliore risposta a tali “necessità” altrimenti rischia si essere un puro esercizio di stile spesso autoreferenziale.
- Quali sono le sue priorità e i punti fermi del suo stile?
Seppur la nostra impostazione metodologica sia maturata su una matrice prevalentemente “razionalista” e “funzionalista”, nel nostro lavoro cerchiamo continuamente di stabilire una sovrapposizione tra teoria e pratica dell’architettura senza mai perdere di vista lo scopo principale per cui progettare e costruire debbano sempre essere visti come un campo aperto di sperimentazione variabile, sviluppato in parallelo attraverso ripetute verifiche dinamiche tra concept e costruzione.
- Come li declina nell’assecondare di volta in volta le esigenze della committenza?
Progettare nuovi spazi significa veicolare percezioni, dinamiche e abitudini di vita dei futuri fruitori, in un certo senso il nuovo spazio andrà a rieducare chi lo abiterà e pertanto dovrà risultare amichevole e collaborativo.
Per arrivare a questo obiettivo è necessario una elaborazione condivisa e quindi un costante processo di revisione congiunta del progetto in tutte le varie fasi continui feed-back tra progettista e committente.
- Parliamo di “Casa Frida”. Ci racconta brevemente le fasi chiave del progetto? Da che situazione siete partiti? Quali erano le esigenze dei committenti?
“Casa Frida” rappresenta la seconda vita di una palazzina d’epoca in stile Liberty risalente agli anni ’20. Quando l’abbiamo visitata la prima volta preservava la sua eleganza attraverso una facciata composta ancora in buono stato di conservazione ma che tuttavia all’interno, in parte disabitata, risultava fortemente compromessa ed in parziale stato di degrado. Entrare in quella casa è stato un po’ come varcare una soglia, poiché la facciata principale testimoniava con orgoglio la sua origine ma la sua parte interna doveva necessariamente essere ripensata perché aveva perso qualsiasi carattere di riconoscibilità ed autenticità. Luca ed Alessandra desideravano spazi ampi, flessibili, luminosi, sobri quasi astratti, funzionali ed immediati, adatti ad uno stile di vita dinamico. All’interno non c’era nulla di autentico da preservare e non volevamo farlo attraverso l’inserimento di partiti decorativi classici rischiando di introdurre dei falsi storici e quindi degli anacronistici artifizi.
Pertanto era chiaro che la contrapposizione tra esterno ed interno dovesse essere netta, radicale e onesta testimonianza di un cambiamento di epoca. Abbiamo pertanto rimarcato le identità degli opposti, cercando di lavorare all’interno su una configurazione degli ambienti purista utilizzando solo tre materiali: cemento legno e soprattutto luce.
- Quanto conta per lei la sinergia tra funzionalità ed estetica? Come la ricerca?
La sinergia tra forma e funzione è alla base del nostro lavoro e della nostra ricerca, in architettura, così come succede in natura, non dovrebbe esserci mai forma ingiustificata, la forma dovrebbe essere espressa volontà d’intenti, di contenuti chiara ed immediata.
Cerchiamo in ogni progetto di fare in modo che la forma e la funzione risultino sempre in perfetto equilibrio, se la forma prevale sulla funzione si rischia di incappare in sterili formalismi, di contro, se è la funzione a prevale sulla forma si traduce in aridi funzionalismi.
- Come è stato il rapporto con la committenza?
L’ottima riuscita del progetto non può prescindere dall’ottimo rapporto che si è venuto a creare da subito con i committenti, infatti, credo che ne sia direttamente proporzionale.
Per garantire la qualità dell’architettura la committenza svolge un ruolo fondamentale poiché i “desiderata” del cliente sono una delle basi imprescindibili che dovrebbero sempre incarnarsi nel loro futuro “habitat”.
Con Alessandra e Luca abbiamo imparato da subito a fare squadra perché lavoravamo tutti con il medesimo entusiasmo ed allo stesso scopo. Abbiamo trovato le cosiddette affinità elettive, cercando di far confluire le idee nella direzione che potesse non semplicemente accontentarci ma entusiasmarci sempre.
- Perché ha scelto proprio le soluzioni ECLISSE per questo progetto? Le conosceva già o le sono state suggerite da qualcuno (installatore, rivenditore, altro). In che modo le ha personalmente interpretate?
I prodotti ECLISSE assecondavano in maniere rigorosa la risposta a specifiche esigenze funzionali ed estetiche di cui eravamo in cerca e sono stati senza dubbio tra le componenti essenziali che hanno decretato la riuscita del progetto.
Conoscevamo già le soluzioni progettuali ECLISSE ed avevamo già avuto modo di utilizzarle in precedenti circostanze constatandone sempre l’alta qualità.
Nel progetto “Casa Frida” abbiamo interpretato le soluzioni ECLISSE Syntesis Collection filo muro sia battente che scorrevole nell’ottica di conferire la totale “mimesi” con le pareti per generare spazi sobri e luminosi al fine di enfatizzare la purezza delle superfici e dei volumi. Inoltre abbiamo cercato di utilizzarle come fossero cornici astratte e metafisiche che ci consentissero di inquadrare particolari e ben definiti scorci tra gli ambienti amplificandone le potenzialità spaziali, fruitive e percettive.