A seguito di una grave epidemia di colera che colpì la città di Napoli nel 1884 fu emanata la legge 2892 per il risanamento della città. Tra le cause dell’epidemia vi erano l’affollamento abitativo e le pessime condizioni igieniche sanitarie.
Per porre fine all’insalubrità, il piano di risanamento, prevedeva ampie zone di demolizione e ricostruzione. Per attuarlo venne messo in discussione per la prima volta il diritto di proprietà a benificio del fine sociale ed un provvedimento, nato esclusivamente per far fronte a delle esigenze di tipo igienico e sanitario, rappresentò un momento evolutivo fondamentale per la legislazione urbanistica sul tema dell’esproprio e del calcolo dell’indennità.
Questo calcolo non si basava più sul semplice Valore di Mercato (Vm) dell’immobile, infatti le proprietà da espropriare erano, in questa particolare situazione, edifici dei quartieri più poveri e degradati della città, di cui la maggior parte dati in locazione.
Era per tanto necessario tenere conto del calcolo dell’indennizzo, del reddito che i proprietari percepivano con gli affitti. Per tale ragione l’art. 13 della legge prevedeva che l’indennità dovesse essere calcolata “come media del valore venale e dei fitti coacervati dell’ultimo decennio, purché essi abbiano data certa, corrispondente di rispettivo anno di locazione. In difetto dei fitti accertati, l’indennità sarà fissata sull’imponibile netto agli effetti delle imposte sui terreni e sui fabbricati. I periti non dovranno tenere conto nella stima dei miglioramenti e delle spese fatte dopo la pubblicazione del Piano”.
In questo modo l’esproprio si basava sul criterio dell’indennità che sommava il valore di mercato alla reddittività dell’immobile e i proprietari percepivano un indennizzo molto più alto rispetto a quello calcolato sul solo Vm, in quanto il Saggio di Capitalizzazione Annuo (relativo agli affitti) era allora parti a circa il 14-18% (oggi è inferiore al 4%).