Buongiorno cari colleghi.
Leggo spessissimo su queste pagine del modo assurdo in cui veniamo maltrattati, sottovalutati, ridicolizzati, sminuiti. In un quadro di riferimento normativo che per alcune questioni spesso ci equipara ad un geometra (col massimo rispetto). Vorrei vedere quale chirurgo viene equiparato ad un portantino... Ma purtroppo tant'è.
Leggo sempre, e mi capita di vedere sempre, la nostra estrema disponibilità di fronte a richieste di ogni tipo (mi sembra pure giusto, visti i tempi di vacche magre). La nostra innata "empatia" e compassione per il cliente. Che spesso diventa accondiscendenza. Certo, ognuno cerca di reperire una richiesta, per quanto assurda, e portarla ad una realtà dei fatti legale ed esteticamente accettabile. Ma spesso mi trovo a parlare con maestranze le quali ci fanno buon viso in ogni occasione, salvo poi addossarci tutte le responsabilità in caso di errori, anche commessi da loro, ed anche a nostra insaputa. E la risposta che spesso mi danno è "architetto, qui comandate voi! Vi dovete imporre con noi e col cliente! Non esistono cose date per scontate" E via con tutta una serie di esempi sugli architetti di una volta, che bastava fiatassero perché tutto filasse liscio. Non che oggi non sia così. Le maestranze comunque eseguono quanto disposto, fidandosi ciecamente, ma quello che è cambiato è un rapporto morboso tra il cliente noi e loro, e soprattutto richieste economiche sempre più assurde, non valorizzando appieno il nostro lavoro che da sempre è il traino di una Stato. Di converso non appena ci si mostra seri e ligi, il cliente e le maestranze quasi provano soggezione... Insomma, c'è un imbarazzo che va sciolto, la nostra figura va riqualificata, sono sicuro che ognuno di voi ci mette il 100% in quello che fa e non lo fa solo per il portafogli, ma in pochissimi capiscono la differenza tra un lavoro fatto bene ed uno fatto male, soprattutto prima di iniziare un lavoro (quello è un guaio serio...). Così ci ritroviamo a non poter fare richieste economiche adeguate (perché all'inizio il cliente è del tutto ignaro a quello che va incontro e spesso crede di aver contattato l'artista da strapazzo che gli stravolga il monolocale da 35mq), salvo poi doverci vendere ad ogni prestazione richiesta dal cliente, perfino sulla scelta del famoso "colore delle tendine del bagno".
Io spero che un giorno:
- la normativa italiana chiarisca oneri e onori di architetti, ingegneri e geometri. Ognuno il suo, distinto dall'altro
- sia ripristinato un tariffario minimo, al di sotto del quali si può essere denunciati per concorrenza sleale
- vengano cancellati dai palinsesti quei programmi televisivi ridicoli dove il tecnico sembra solo un tipo chic che suggerisce colori e pianticelle e guadagna milioni di euro
- i concorsi di idee e di progettazione vedano almeno duplicato l'attuale montepremi
- Inarcassa (parlo per i più giovani) sia proporzionale al guadagno, almeno fino ai 33-35 anni. Altrimenti c'è poco da fare, si favorisce il nero alla grande con danni per noi stessi e per lo stato
Credetemi, lo dico da persona che ama l'architettura... ma è una utopia...
Leonardo : [post n° 408879]
Dobbiamo diventare più seri ed autorevoli...
La nostra innata "empatia" e compassione per il cliente. Che spesso diventa accondiscendenza. ...
...e sudditanza, aggiungerei, ma non dovuta alla nostra indole, quanto piuttosto all'insicurezza che spesso ci inibisce.
Direi comunque che la colpa non è tutta nostra infondo, ma derivante da una normativa nebulosa e contorta oltre alla concorrenza di colleghi senza scrupoli.
Ps. il chirurgo difficilmente cura l'influenza, noi spesso vogliamo o crdiamo di poter fare tutto. Un esempio? Se non hai mai fatto un docfa ci impieghi una settimana, mentre per uno che ne ha già fatti centinaia ci vuole mezz'ora, ora la domanda è: tu committente a chi ti rivolgeresti per il suddetto incarico, ad un geometra con 40 anni di esperienza o ad un architetto (con tutto il rispetto) con soli 2 anni di esperienza?
...e sudditanza, aggiungerei, ma non dovuta alla nostra indole, quanto piuttosto all'insicurezza che spesso ci inibisce.
Direi comunque che la colpa non è tutta nostra infondo, ma derivante da una normativa nebulosa e contorta oltre alla concorrenza di colleghi senza scrupoli.
Ps. il chirurgo difficilmente cura l'influenza, noi spesso vogliamo o crdiamo di poter fare tutto. Un esempio? Se non hai mai fatto un docfa ci impieghi una settimana, mentre per uno che ne ha già fatti centinaia ci vuole mezz'ora, ora la domanda è: tu committente a chi ti rivolgeresti per il suddetto incarico, ad un geometra con 40 anni di esperienza o ad un architetto (con tutto il rispetto) con soli 2 anni di esperienza?
Sono completamente d'accordo con te... per questo sottolineo che dipende troppo dalla normativa... è vero che per sbrigare una pratica un geometra con 40 anni di esperienza è più affidabile ma il punto è che la legge italiana glielo consente. E non dovrebbe essere così. Al limite sarà il committente a scegliere tra un architetto con 2 anni di esperienza o un architetto con 40 anni di esperienza... optando a secondo dei costi e dei tempi per l'uno o per l'altro... Poi mi permetto di dissentire... il chirurgo non cura l'influenza perché nessuno va a rompergli le scatole nel suo ambito, ragion per cui si fa il suo, ben pagato, e lascia fare agli altri il loro. Nel nostro ambito, dove purtroppo tutti si sentono geni incompresi e architetti mancati, persino il venditore di piastrelle può influire fortemente sul giudizio del cliente... Poi arriva l'idraulico che sconsiglia il colore del parato... poi arriva il pittore che suggerisce un climatizzatore differente ecc. Finché la critica sta sulla parte tecnica, ogni giudizio degli addetti è il benvenuto. Ma quando sfocia e si espande verso ogni questione dell'architettura diventa patetico.. ma il committente, finché guarda il canale dove l'architetto è solo l'artista e poi sparisce, che ne sa???
Lancio questa provocazione con tutta la buona fede possibile, perché veramente possiamo ogni volta ricordarci del nostro ruolo e soprattutto ricordarlo...
Lancio questa provocazione con tutta la buona fede possibile, perché veramente possiamo ogni volta ricordarci del nostro ruolo e soprattutto ricordarlo...
Far uscire la categoria dell'architetto da quella dei fighetti che non vanno in cantiere, non conoscono la normativa, il processo edilizio ed al massimo sono in grado di scegliere il portarotolo del wc è onere che spetta a noi architetti e a nessun altro.
Francamente fra i colleghi vedo un pressapochismo ed una preclusione verso gli altri attori del processo edilizio (dalle maestranze ai geometri, passando per ingegneri, geologi ecc) e verso alcuni ambiti della professione (quelli strettamente tecnici e normativi) che minano alla base qualunque tentativo di evoluzione della disciplina e della nostra bellissima e complessa professione. Perchè se la nostra professione è ridotta all'attore che sceglie la carta da parati è perchè abbiamo ed abbiamo avuto dei limiti a livello di comunicazione dei nostri compiti/competenze e delle lacune in termini professionali che il mercato ha, nel corso dei decenni, assimilato ed oggi non facciamo che pagarne le amare conseguenze.
Ritengo occorra molta umiltà prima dei decreti.
Francamente fra i colleghi vedo un pressapochismo ed una preclusione verso gli altri attori del processo edilizio (dalle maestranze ai geometri, passando per ingegneri, geologi ecc) e verso alcuni ambiti della professione (quelli strettamente tecnici e normativi) che minano alla base qualunque tentativo di evoluzione della disciplina e della nostra bellissima e complessa professione. Perchè se la nostra professione è ridotta all'attore che sceglie la carta da parati è perchè abbiamo ed abbiamo avuto dei limiti a livello di comunicazione dei nostri compiti/competenze e delle lacune in termini professionali che il mercato ha, nel corso dei decenni, assimilato ed oggi non facciamo che pagarne le amare conseguenze.
Ritengo occorra molta umiltà prima dei decreti.
Bella quella del chirurgo, l'ho detto al mio collega geometra: Ricordati che io sono il chirurgo e tu il portantino! E' andato via sbattendo la porta, da oggi lo chiamerò portantino.
Già avevo fatto inc....re l'Ing. quando citando Fuksas gli ho detto: Ricordati che l'architetto è come un pittore, l'ingegnere è come un idraulico! Facciamo come dico io!
E' molto importante coltivare buoni rapporti con i colleghi...
Già avevo fatto inc....re l'Ing. quando citando Fuksas gli ho detto: Ricordati che l'architetto è come un pittore, l'ingegnere è come un idraulico! Facciamo come dico io!
E' molto importante coltivare buoni rapporti con i colleghi...
Mi spiace dirlo ma, secondo me, si tratta di una questione prettamente economica. Quando negli anni '70 c'era fin troppo lavoro per gli architetti, non ci si pestava i piedi e si guadagnava tutti. Ora siamo in troppi e ci sono pochi lavori, in più non ci sono più le tariffe e va da sé che sia nata una guerra al ribasso, che porta ad accettare un po' tutto, anche se svilente.
FranzArch, non hai idea di quanto mi trovi d'accordo il tuo ragionamento. Trovo invece semplicistico ridurre il tutto alla semplice abbondanza di lavoro che c'era negli anni 70 come affermato da Ale. Il processo produttivo delle costruzioni è notevolmente cambiato rispetto a quegli anni, in tale periodo infatti non si doveva tener conto di tanti fattori specialistici: tecnologici, termici, impiantistici. sismici, ecc... e quindi l'architetto si poteva permettere di tirar dritto per la sua strada senza necessità di confrontarsi con altri, salvo lo strutturista (e non sempre). Insomma si poteva permettere di fare il "fighetto", ora, considerando anche il fattore numerico, ci si deve necessariamente specializzare in qualcosa se non si vuole rimanere relegati a scegliere il portarotolo del wc e facendolo, ci si scontra necessariamente con quelli che una volta erano gli attori "secondari" (mi si passi il termine) e con i quali bisogna imparare a collaborare ed interagire.
Beh, se ci fosse abbondanza di lavoro, potresti specializzarti in un determinato settore e non dover fare un giorno un DOCFA, un altro una pratica per un'insegna e l'altro ancora una CILA per modifiche interne (così si possono avere le detrazioni). Sarà anche semplicistico, ma come vedi calza anche con quello che hai appena scritto, ponteggi.
No, secondo me non servono leggi. Serve ribadire il RUOLO SOCIALE DELL'ARCHITETTO, che - scusate! - non è (solo) quello di scegliere i colori delle pareti o proporre soluzioni formali assurdamente astruse, costosissime e poco funzionali.
Quanti nostri colleghi subordinano troppo all'estetica, senza preoccuparsi degli effettivi costi di realizzazione e gestione di una certa soluzione progettuale, o della sua effettiva praticità?
Alla lunga il cliente ne risente e sa che dal geometra o dall'ingegnere spenderà meno e avrà comunque una casa nuova, magari meno personale ma funzionale e dignitosa.
Quanti di noi dicono, a se stessi o al cliente "no io la crepa di casa sua non sono in grado di analizzarla, si rivolga a un ingegnere", oppure "i calcoli strutturali del suo progetto non li faccio io"?
Quanti architetti sanno fare una perizia come (o meglio di) un geometra?
Quanti architetti Direttori dei Lavori in cantiere si atteggiano ad archistar e non sanno dialogare con le maestranze, e quanti vanno in cantiere se va bene una volta ogni due settimane? Quanti salutano gli operai (sì, anche l'apprendista diciottenne)? Quanti ascoltano i consigli di un artigiano con vent'anni di esperienza?
Basta un 10% di colleghi che hanno questi difetti per rovinare tutta la categoria... E parlando con restauratori, ingegneri e artigiani ho sentito vari racconti di:
- architetti che non sanno nulla di restauro e pretendono di insegnare a pulire un affresco a chi lo fa di mestiere da anni;
- architetti che danno a ingegneri strutturisti dei progetti che non tengono minimamente conto della statica o del costo economico di realizzare una certa soluzione strutturale;
- architetti che dicono all'artigiano che chiede spiegazioni "pensaci tu", salvo poi urlare se il poveretto non gli ha letto nella mente;
- architetti che non salutano gli operai che montano il ponteggio...
Quanti nostri colleghi subordinano troppo all'estetica, senza preoccuparsi degli effettivi costi di realizzazione e gestione di una certa soluzione progettuale, o della sua effettiva praticità?
Alla lunga il cliente ne risente e sa che dal geometra o dall'ingegnere spenderà meno e avrà comunque una casa nuova, magari meno personale ma funzionale e dignitosa.
Quanti di noi dicono, a se stessi o al cliente "no io la crepa di casa sua non sono in grado di analizzarla, si rivolga a un ingegnere", oppure "i calcoli strutturali del suo progetto non li faccio io"?
Quanti architetti sanno fare una perizia come (o meglio di) un geometra?
Quanti architetti Direttori dei Lavori in cantiere si atteggiano ad archistar e non sanno dialogare con le maestranze, e quanti vanno in cantiere se va bene una volta ogni due settimane? Quanti salutano gli operai (sì, anche l'apprendista diciottenne)? Quanti ascoltano i consigli di un artigiano con vent'anni di esperienza?
Basta un 10% di colleghi che hanno questi difetti per rovinare tutta la categoria... E parlando con restauratori, ingegneri e artigiani ho sentito vari racconti di:
- architetti che non sanno nulla di restauro e pretendono di insegnare a pulire un affresco a chi lo fa di mestiere da anni;
- architetti che danno a ingegneri strutturisti dei progetti che non tengono minimamente conto della statica o del costo economico di realizzare una certa soluzione strutturale;
- architetti che dicono all'artigiano che chiede spiegazioni "pensaci tu", salvo poi urlare se il poveretto non gli ha letto nella mente;
- architetti che non salutano gli operai che montano il ponteggio...
Corollario al punto precedente:
Ma chi sono io per sentirmi superiore a un geometra? Solo perché ho una laurea?!? Il mondo è pieno di idioti laureati e di persone intelligenti con la terza media. Il rispetto si guadagna sul campo secondo me.
Geometri e ingegneri sono nostri colleghi tanto quanto gli altri architetti.
E comunque siccome il committente dovrà vivere a casa sua, è giusto che il committente scelga lui: un architetto secondo me deve cercare di aiutarlo a focalizzare le sue reali esigenze, consigliargli le soluzioni più funzionali, i materiali e i colori, ma seguendo i gusti del committente, non imponendo i propri. E quasi sempre - negli interventi sugli edifici esistenti - comanda l'edificio e non l'architetto.
Scusate se sono andata giù pesante, ma io la penso così e questo argomento mi sta molto a cuore perché siccome mi occupo di campi generalmente poco praticati da architetti, con i pregiudizi ci convivo quasi quotidianamente.
X Ale - Purtroppo dobbiamo saper fare un po' di tutto per fornire un servizio completo: se ad esempio domani viene da te un ristoratore che desidera rinnovare il locale, gli fai il progetto architettonico e la SCIA ma la pratica per l'insegna, il dehor (plateatico) e l'occupazione di suolo pubblico no? Oppure fai solo il progetto architettonico di un appartamento ma la pratica edilizia no e l'agibilità no?
Io mi occupo di restauro a 360° e tengo anche un blog sull'architettura storica ma mi occupo (personalmente o tramite colleghi di mia fiducia) di ogni aspetto del progetto tranne la sicurezza, comprese le dichiarazioni per l'Iva agevolata e il suolo pubblico, il catasto e la certificazione energetica (queste ultime appoggiandomi a un collega): io sono pagata dal cliente per assumermi e risolvergli tutte le rogne ragionevoli e impreviste (i capricci ovviamente si pagano a parte).
Ma chi sono io per sentirmi superiore a un geometra? Solo perché ho una laurea?!? Il mondo è pieno di idioti laureati e di persone intelligenti con la terza media. Il rispetto si guadagna sul campo secondo me.
Geometri e ingegneri sono nostri colleghi tanto quanto gli altri architetti.
E comunque siccome il committente dovrà vivere a casa sua, è giusto che il committente scelga lui: un architetto secondo me deve cercare di aiutarlo a focalizzare le sue reali esigenze, consigliargli le soluzioni più funzionali, i materiali e i colori, ma seguendo i gusti del committente, non imponendo i propri. E quasi sempre - negli interventi sugli edifici esistenti - comanda l'edificio e non l'architetto.
Scusate se sono andata giù pesante, ma io la penso così e questo argomento mi sta molto a cuore perché siccome mi occupo di campi generalmente poco praticati da architetti, con i pregiudizi ci convivo quasi quotidianamente.
X Ale - Purtroppo dobbiamo saper fare un po' di tutto per fornire un servizio completo: se ad esempio domani viene da te un ristoratore che desidera rinnovare il locale, gli fai il progetto architettonico e la SCIA ma la pratica per l'insegna, il dehor (plateatico) e l'occupazione di suolo pubblico no? Oppure fai solo il progetto architettonico di un appartamento ma la pratica edilizia no e l'agibilità no?
Io mi occupo di restauro a 360° e tengo anche un blog sull'architettura storica ma mi occupo (personalmente o tramite colleghi di mia fiducia) di ogni aspetto del progetto tranne la sicurezza, comprese le dichiarazioni per l'Iva agevolata e il suolo pubblico, il catasto e la certificazione energetica (queste ultime appoggiandomi a un collega): io sono pagata dal cliente per assumermi e risolvergli tutte le rogne ragionevoli e impreviste (i capricci ovviamente si pagano a parte).
Mi piace molto il "richiamo all'umiltà". Il problema è che di petti gonfi di ego purtroppo ci sono in tutte le categorie... Non vorrei che poi a pagarla siamo sempre ancora noi, insomma, come sparare sulla croce rossa...
Mi spiego meglio, con autorevolezza e serietà non intendevo un atteggiamento spocchioso e presuntuoso relativamente all'opera ed al proprio valore individuale come tecnico. Piuttosto a un sano e positivo rispetto dei ruoli e delle competenze, non naturalezza non con finzione o egocentrismo. Da parte di TUTTI. Della serie non può arrivare magari il falegname, a pochi giorni dalla chiusura lavori, per montare le porte e giudicare a destra e manca l'operato. O criticare il committente per una scelta che lui avrebbe fatto diversamente. Senza conoscere il puzzle e la serie infinita di incastri che hanno portato ad una soluzione... anche perché non sempre il committente ha memoria ed alla prima critica inutile tende ad allarmarsi. A chi di voi non è mai capitato... d'altro canto è vero. Architetti che si sentono Dio sceso in terra per salvare questo pianeta dagli obvobvi ce ne sono a iosa... e sono forse loro che rovinano la specie. Ma se non la legge, su cui mi sembrate tutti d'accordo, da cosa partire? Dalle facoltà?
X Ily: è normale offrire ai propri clienti diversi servizi, io per primo lo faccio. Però ci sono alcuni servizi per cui sarebbe bene essere specializzati. Come si diceva prima, per esempio, chi fa catasto tutti i giorni sarà sicuramente meglio preparato di chi lo fa una volta all'anno, però oggi con la crisi che si è creata nel nostro settore è facile che anche chi non lo ha mai fatto, abbia cominciato a cimentarsi, piuttosto che dar via il lavoro. Quello che dicevo io è questo: secondo me, con il fatto che non c'è più lavoro come una volta e senza tariffe, è nata una lotta tra diverse figure (architetto, geometra, ingegnere) per accaparrarsi i lavori e, quindi, si pestano i piedi.
@leonardo, assolutamente si: la colpa sta soprattutto nelle facoltà che non sono pronte ad affrontare i cambiamenti in atto nella società. Ma ci vogliamo rendere conto o no che negli ultimi 15/20 anni abbiamo assistito ad una svolta epocale paragonabile forse alla rivoluzione industriale? E poi stiamo ancora a fare i paragoni con gli anni 70, che per il nostro settore rappresentano la preistoria
@Ily secondo me stai centrando il punto, pur rimanendo ancorata ad una visione per così dire romantica dell'architetto, che, in generale, non è necessariamente un male.
La Farnsworth house di Mies è un capolavoro dell'architettura, un portento nella sua raffinata immediatezza compositiva, nella purezza dei volumi e nella schiettezza delle proporzioni ma come immobile ebbe enormi problemi di costi e la committenza, pur utilizzandola, criticò molto alcune scelte dell'architetto che minarono e minano la funzionalità della residenza (insetti, allagamenti, privacy "inesistente" ecc).
Cosa è avvenuto tra Mies e la committenza?
Nulla di particolare in realtà a parte un miss-match gigantesco tra ego/visione dell'architetto e necessità della committenza.
Quando parli di "un architetto secondo me deve cercare di aiutarlo a focalizzare le sue reali esigenze, consigliargli le soluzioni più funzionali, i materiali e i colori, ma seguendo i gusti del committente, non imponendo i propri. E quasi sempre - negli interventi sugli edifici esistenti - comanda l'edificio e non l'architetto." parli in realtà del fulcro della professione, omettendo tuttavia l'aspetto TECNICO e PRATICO che è invece dirimente nelle scelte della committenza (molto brutalmente chi la committenza sceglie per fare cosa) ed è dove si annida il miss-match che ha colpito MIES stesso.
Perchè l'architetto dovrebbe fare di necessità virtù, non imporre ma incanalare, allineando le aspettative della committenza con la fattibilità economica, normativa e tecnica (a qualunque scala parafrasando Charles-Edouard Jeanneret-Gris, per gli amici Corbu, "dall'apparecchio telefonico al Partenone") cosa che, umilmente si dovrebbe ammettere, spessissimo non avviene.
E' il mancato allineamento tra aspettative della committenza ed output a polarizzare il mercato non viceversa ed è su quello che si dovrebbe lavorare per riappropriarci di un fare architettura che è si composizione, estetica, forma ma non può e non deve ridursi al mero formalismo dimenticando il germe stesso del "fare architettura" che è LA MISURA.
Questo processo si può attuare solamente quando, fuori dalle scuole di architettura, il neoarchitetto inizia a plasmare se stesso e portare la propria sensibilità nella professione ponendo in essere una sintesi coerente tra forma, budget ed ambito tecnico/pratico/normativo generando un risultato coerente ed allineato con le aspettative della committenza.
Ma è un processo lungo e difficile, un lavoro certosino di aggiornamento continuo e di studio costante, un lavoro di cesello che l'architetto deve porre in essere ogni giorno per guadagnarsi una sensibilità prima ed una professionalità poi che semplicemente non potranno essere ignorate dal mercato.
Sostanzialmente sono sulla tua stessa lunghezza d'onda (e di @ponteggiroma) su praticamente tutto pur con qualche piccolo appunto.
La Farnsworth house di Mies è un capolavoro dell'architettura, un portento nella sua raffinata immediatezza compositiva, nella purezza dei volumi e nella schiettezza delle proporzioni ma come immobile ebbe enormi problemi di costi e la committenza, pur utilizzandola, criticò molto alcune scelte dell'architetto che minarono e minano la funzionalità della residenza (insetti, allagamenti, privacy "inesistente" ecc).
Cosa è avvenuto tra Mies e la committenza?
Nulla di particolare in realtà a parte un miss-match gigantesco tra ego/visione dell'architetto e necessità della committenza.
Quando parli di "un architetto secondo me deve cercare di aiutarlo a focalizzare le sue reali esigenze, consigliargli le soluzioni più funzionali, i materiali e i colori, ma seguendo i gusti del committente, non imponendo i propri. E quasi sempre - negli interventi sugli edifici esistenti - comanda l'edificio e non l'architetto." parli in realtà del fulcro della professione, omettendo tuttavia l'aspetto TECNICO e PRATICO che è invece dirimente nelle scelte della committenza (molto brutalmente chi la committenza sceglie per fare cosa) ed è dove si annida il miss-match che ha colpito MIES stesso.
Perchè l'architetto dovrebbe fare di necessità virtù, non imporre ma incanalare, allineando le aspettative della committenza con la fattibilità economica, normativa e tecnica (a qualunque scala parafrasando Charles-Edouard Jeanneret-Gris, per gli amici Corbu, "dall'apparecchio telefonico al Partenone") cosa che, umilmente si dovrebbe ammettere, spessissimo non avviene.
E' il mancato allineamento tra aspettative della committenza ed output a polarizzare il mercato non viceversa ed è su quello che si dovrebbe lavorare per riappropriarci di un fare architettura che è si composizione, estetica, forma ma non può e non deve ridursi al mero formalismo dimenticando il germe stesso del "fare architettura" che è LA MISURA.
Questo processo si può attuare solamente quando, fuori dalle scuole di architettura, il neoarchitetto inizia a plasmare se stesso e portare la propria sensibilità nella professione ponendo in essere una sintesi coerente tra forma, budget ed ambito tecnico/pratico/normativo generando un risultato coerente ed allineato con le aspettative della committenza.
Ma è un processo lungo e difficile, un lavoro certosino di aggiornamento continuo e di studio costante, un lavoro di cesello che l'architetto deve porre in essere ogni giorno per guadagnarsi una sensibilità prima ed una professionalità poi che semplicemente non potranno essere ignorate dal mercato.
Sostanzialmente sono sulla tua stessa lunghezza d'onda (e di @ponteggiroma) su praticamente tutto pur con qualche piccolo appunto.
ok, personalmente, ritengo che il nostro peggior difetto stia nel fatto che a volte ci prendiamo troppo seriamente. In fondo, ricordiamoci, che il nostro è un lavoro come altri e non apparteniamo ad una categoria di "eletti" che hanno avuto la possibilità di abbeverarsi alla fonte della conoscenza.
E' un continuo lavoro di studio ed esercizio della professione e di interazione con gli altri soggetti del processo, ora non voglio offendere nessuno, ma qui c'è ancora gente che propone post su come ci si debba definire: se dott. arch, o semplicemente arch, o solo dott... senza chiedersi effettivamente cosa e quanto si conosca di questo lavoro. (personalmente mi faccio chiamare da tutti col nome di battesimo).
Io non sono mai stato bravo a parlare di architettura e di estetica, mi ritengo piuttosto un artigiano, ma sono sicuro che con meno spocchia e più spirito di sacrificio abbiamo le giuste basi per raggiungere i nostri migliori obiettivi , che fatica però!
Concludo dicendo che la fiducia e il rispetto degli altri, te li devi guadagnare sul campo e non ti vengono consegnati con un diploma di laurea.
E' un continuo lavoro di studio ed esercizio della professione e di interazione con gli altri soggetti del processo, ora non voglio offendere nessuno, ma qui c'è ancora gente che propone post su come ci si debba definire: se dott. arch, o semplicemente arch, o solo dott... senza chiedersi effettivamente cosa e quanto si conosca di questo lavoro. (personalmente mi faccio chiamare da tutti col nome di battesimo).
Io non sono mai stato bravo a parlare di architettura e di estetica, mi ritengo piuttosto un artigiano, ma sono sicuro che con meno spocchia e più spirito di sacrificio abbiamo le giuste basi per raggiungere i nostri migliori obiettivi , che fatica però!
Concludo dicendo che la fiducia e il rispetto degli altri, te li devi guadagnare sul campo e non ti vengono consegnati con un diploma di laurea.
Quando i soldini sono pochini la qualità del lavoro si abbassa, si abbassa per tutti non solo per gli architetti. Quindi è tutto nella norma, tutto regolare..., si abbasserà ancora, si può scendere ancora.
Possiamo girarci intorno ma anche questo è vero... è per soldi non intendo solo qualità di materiali ecc. Anche la cifra che noi stabiliamo col cliente... Mi sembra logico che se dovresti avere X e ti vogliono pagare 50%X se sei onesto, ma se sei onesto, non assicurerai un lavoro Y ma 75%Y...
secondo me siete fuori traccia, perchè qui si parla (almeno così mi è sembrato di capire) di serietà ed autorevolezza nella professione e i soldi quindi non c'entrerebbero niente. Salvo che per voi la serietà e l'autorevolezza non siano direttamente proporzionali all'importo delle vostre parcelle... allora in tal caso riguraderebbe più strettamente il rapporto con la vostra coscienza.
@ fulser, ma ricordo male o tu ti occupi di serramenti? Se così fosse avrei bisogno di una consulenza se non ti crea problemi
@ fulser, ma ricordo male o tu ti occupi di serramenti? Se così fosse avrei bisogno di una consulenza se non ti crea problemi
La coscienza mi serve per le cose importanti, il mio lavoro è già delimitato dal codice civile e da quello penale.
Ti confermo che la qualità del lavoro (di questo tratta il post dell'utente Leonardo) si abbassa quando scendono le disponibilità economiche.
Le disponibilità economiche scendono per i committenti, per le imprese, per le maestranze, per i professionisti, i quali, tutti questi che ti ho appena elencato, hanno sempre a che fare con una burocrazia/legislazione terzomondista, spesso con amministratori locali con l'anello al naso.
Quando manca il "giusto compenso" (per tutti) allora vieni su questo forum e leggi del committente idiota, delle maestranze patetiche, dei fornitori cinesi, del professionista incapace..., magari anche poco serio e poco autorevole.
Il "giusto compenso" è quella variabile che ti fa tollerare quelle acidità di stomaco che le problematiche lavorative comportano..., e comunque, se ci rifletti un attimo, tutto ha un costo, anche la serietà e l'autorevolezza.
Comunque è solamente il mio pensiero. Saluti
Ti confermo che la qualità del lavoro (di questo tratta il post dell'utente Leonardo) si abbassa quando scendono le disponibilità economiche.
Le disponibilità economiche scendono per i committenti, per le imprese, per le maestranze, per i professionisti, i quali, tutti questi che ti ho appena elencato, hanno sempre a che fare con una burocrazia/legislazione terzomondista, spesso con amministratori locali con l'anello al naso.
Quando manca il "giusto compenso" (per tutti) allora vieni su questo forum e leggi del committente idiota, delle maestranze patetiche, dei fornitori cinesi, del professionista incapace..., magari anche poco serio e poco autorevole.
Il "giusto compenso" è quella variabile che ti fa tollerare quelle acidità di stomaco che le problematiche lavorative comportano..., e comunque, se ci rifletti un attimo, tutto ha un costo, anche la serietà e l'autorevolezza.
Comunque è solamente il mio pensiero. Saluti
Sono d'accordo con Sentenza. Ragion per cui, a mio avviso, la presenza di poco lavoro rimane un fatto determinante e strettamente collegato.