Sinuhe : [post n° 168360]

APRES MOI LE DELUGE

Desidero scusarmi con coloro che hanno interpretato il mio post "L'industria dell'indecenza", come un'esibizione sterile di conoscenze di economia e/o management.

Vi chiedo sinceramente scusa, non con la volontà di schernirvi, ma perchè il mio intento non era quello di manifestare presunte cognizioni di genere, ma di confrontarmi con voi sull'aspetto che determina universalemente il malcontento generale, ovvero lo stipendio (brutalmente riconvertito dal sottoscritto in "salario") dei collaboratori degli studi professionali.

Da parecchio tempo leggo su questo sito, esternazioni di rabbia e delusione per il trattamento economico dei giovani (e non solo) architetti, pertanto, sovvertendo il titolo del forum, ho desiderato dare io un consiglio, esprimendo una mia personale opinione, su aspetti tendenzialmente condivisibili.

Non è mia intenzione tornare a ripetere quanto è stato già scritto. D'altronde, il provocatorio rifiuto del "salario", è una delle tante forme di dignità che qualsiasi giovane professionista deve, in ragione della sua personale situazione economica, saper contemplare. Pertanto non atto aprioristico, ma ponderato. Il trattamento economico a cui sono sottoposti gli architetti, non è "normato" nel privato da alcuna legge specifica. Ciò determina necessariamente un continuo sfruttamento da parte del "datore di lavoro" che accresce la sua ricchezza personale a danno della collettività della nuova generazione. Ho pertanto invitato a dire "no", quando questo è possibile, invertendo l'usuale trend. I risultati di questa inversione di tendenza, si scorgono nelle città non dotate di una facoltà di architettura o politecnico, all'interno delle quali, non potendo usufruire della manovalanza studentesca, gli studi professionali propongono compensi adeguati e prospettive di crescita. Questa non è utopia, ma fatti reali di persone di mia conoscenza, inseriti in realtà dinamiche e stimolanti e, sopratutto, redditizie. Da qualche tempo, ciò viene riversato anche nelle principali città del Nord Italia. (Non conosco la situazione del Centro-Sud)

I requisiti fondamentali che ogni candidato, deve per sua controparte richiedere in uno studio/azienda/impresa sono essenzialemente tre:
a) Trasparenza e adeguatezza (del trattamento economico)
b) Crescita (professionale)
c) Empowerment.

In assenza di questi requisit, si invita caldamente di rifiutare, se si è possibilitati a farlo.
Naturalmente, come già scritto nel passato post, una buona prepazione, aiuta ad ambire a qualsiasi genere di rapporto.

Desidero infine dare anche un'ultima intepretazione personale sul nodo caldo dell'ultimo post.
Premetto 4 punti fondamentali:
1) Non sono John Nash (nè il mago Indovino)
2) Non ho nessun master alla Bocconi (ma ho avuto docenti che insegnavano là).
3) Anche se non conoscete alcune cose, potete sempre essere disposti ad ascoltarmi e non a criticarmi solamente perchè non sapete. Si può sempre imparare l'uno dall'altro.
4) Ai volgarotti di turno, quelli che amano esprimersi col linguaggio da taverna dopo la sbronza, non rispondo ed invito ad andare al "Processo di Biscardi".

Il problema della bassa produttività del mercato dell'architettura, è senza dubbio legato ad un eccesso dell'offerta professionale. Offerta, sfortunatamente, generica, e non specifica. Una delle forme di aggressione del mercato è probabilmente la multidisciplinarietà, anche se un po' abusata ultimamente. Questo comporta delle forme di associazionismo tra studi professionali e/o e giovani architetti (dalle join venture sino agli studi associati), che se adeguatamente sfruttate, possono portare a forme giuridiche miste che comportano un abbassamento dei costi fissi. Naturalmente, ogni società in formazione deve dedicare una quota parte delle sue risorse nella ricerca professionale, a seconda del mercato di inserimento prescelto, al fine di sviluppare un programma di crescita della società.
E' necessario sviluppare fra più professionisti un programma di intenti condiviso (ometto il "parolone" per non disdegnare chi mi ha già tacciato per questo) che abbia per fine l'aumento progressivo della produttività: alternare gli investimenti e gestire gli utili per incrementare nuova produttività da destinarne, una quota parte, nella ricerca, è una delle tante forme di una buona due diligence.

La parola a voi. Se trascuro alcuni aspetti (cosa evidente visto che non posso parlare di tutto) sarò mia cura dipensare ulteriori precisazioni. Non voletemene.
nico :
mi scuso anche io se continuo a non capire.
sarà la mia inadeguatezza, e lo dico senza ironia.
eppure anche io ho avuto professori illustri, ho il mio master, so le mie 4 lingue ecc ecc.
insomma, la tua disamina è precisa ma ognuno la conosce di suo, come le sue tasche e senza bisogno delle tue spiegazioni.
allora perchè mi chiedo tutto sto papiro (mi scuso per il linguaggio non adeguato) per dire di rifiutare uno stipendio mensile fisso al fine di tentare di fare la libera professione?
questo lo sappiamo tutti, nessuno escluso, tutti ambiamo a questo. o meglio, qualcuno no, ed è giusto così. c'è qualcuno che vuole fare il dipendente ed ha tutte le sue ragioni e libertà.
io forse a volte ho esagerato tentando con altri rivoluzioni improbabili, proteste utopistiche..........ma tu mi chiedo, hai sparato tutto sto saggio, esposto motivazioni, argomentato, tratto conclusioni........e mo che fai tu di tuo? guarda che il libro non ce lo compriamo!
a parte l'ironia, bastava dire rifiutate, quando potete, compensi non adeguati. e sinceramente penso che se vuoi dire altro oltre questo mettici la faccia e organizza qualcosa.
comunque
dan :
mi sembra che l'analisi di sinuhe sia abbastanza precisa, provo nel mio piccolo a riassumerla, tralascio la faccenda stipendi e mi concentro sulla parte finale, secondo me più importante.
A. Basta fare le fighette che si aprono lo studio da soli e spaziano dal design minimalista all'urbanistica
B. E' necessario costruire reti professionali lunghe, in grado di coinvolgere un insieme eterogeneo di professionisti.
C. L'architetto non è Dio nè un grande artista, è un semplice tecnico e come tale più si specializza meglio è. Ciò che non sa fare lui lo dovrà saper fare un collega legato alla propria rete professionale.
D. Lo studio di architettura deve diventare un'azienda di servizi e quindi come tale deve operare con un minimo di strategie e costruendo progetti di cresciti di lungo-medio periodi, solidi.
E. Se l'archietetto (ma questo vale per molte professioni liberali) la smette di sentirsi il grande professionista che mira a diventare dominus di un piccolo studio, ma al contrario si interpreta come imprenditore ci sono buone possibilità che la sfanghi... altrimenti rimarremo una massa indistinta che soffre di eccesso di offerta di manodopera e quindi facilmente sfruttabile.
arko :
"sarò mia cura dipensare ulteriori precisazioni"

ma invece di dispensare, perchè non ci assumi tutti?
Chiara :
che ci sia un problema concreto nel mercato del lavoro che sta alla base di qualunque legge economica: l'assenza di domanda genera la necessità di abbassare il costo dell'offerta. Gli architetti sono troppi, possono reinventarsi e specializzarsi quanto vogliono, ma fra geometri, architetti e ingegneri civili ci sono tanti, troppi professionisti interessati a fare la stessa cosa. Non so se avete mai provato a partecipare a qualche concorso, io sí, e in concorsi con premi modesti in cui non era garantita l'esecuzione dell'opera mi sono trovata a competere con studi avviati di architetti con il doppio della mia età. Se anche loro sono così disperati da dedicare tempo a questi pseudo concorsi che quasi sempre finiscono con una mostra alla sagra del paese e una pacca sulla spalla significa che siamo messi proprio malino...
Questo per dire che il discorso di non accettare bassi compensi è giusto in linea teorica, ma poi la realtà è che nel mondo dell'architettura mi pare che stanno giocando tutti al ribasso e se la passano male anche le generazioni precedenti.... Non capisco dove vuoi andare a parare con questi post, forse vuoi dire che dovremmo lottare per essere tutelati da una normativa? Non accettare compensi restando a casa propria a fare altro non cambierà certo la situazione
Vichy :
1) non sempre i datori di lavoro sono disposti a darti paghe dignitose, e non dico al colloquio ma anche dopo vari anni di dimostrazioni che sei valido, non hai mai fatto cazzate, e hai portato avanti bene i lavori. Pur di risparmiare preferisocno dirti ciao avanti il prossimo, ed è successo a me e a tanti amici miei architetti, siamo andati via ma fatto sta che nessuno ci ha supplicati di restare.
2) il mercato italiano è appunto molto variegato nel senso ho notato la differenza con la mia amica che vive a londra, lei è urban designer e lavora solo come urban desisgner, qui noi, e quindi gli studi, soprattutto quelli piccoli un giorno facciamo una ristrutturazione, un giorno una vriazione catastale, un giorno un permesso asl, quindi le competenze specifiche di cui parli, anche se molti di noi ce le hanno (vedi master, corsi, intereesi personali ecc) non servono gramchè perchè invece gli studi pretendono "flessibilità" delle conoscenze, in quanto pur di lavorare ci si accaparra un po' di tutto. Non che la cosa mi piaccia ma in italia è così, aggravato dal fatto che competenze di geometri architetti e ing. si intersecano in vari punti.
questo è quello che volevo sottolineare...
dan :
quando un mercato è sottoposto ad un eccesso di offerta è naturale che la domanda riesca a "strappare" condizioni vantaggiose. La colpa sta nell'offerta e non nella domanda, ma quindi è chi fa parte dell'offerta che deve porsi delle domande. quindi sono gli archietti e questo genere di figure che devono cambiare e Sinuhe ha delineato una possibile strada. In pratica ci sono due soluzioni, o si fà una gara al ribasso, sbranandosi per un tozzo di pane oppure si cerca di spostarsi verso la fascia alta della domanda.
Fascia alta che però impone cmabiamenti radicali dell'organizzazione dell'offerta, e quindi lo strutturarsi di moderne imprese di servizi architettonici e non più semplici e troppo piccoli studi d'architettura.
bonaparte :
ci propone una DISINFORMAZIONE SPAVENTOSA.... quando io ho iniziato ci hanno raccontato che eravamo fra le università con più probabilità di lavoro, ma non hanno specificato COME si lavora... certo che la raccontano proprio bene pur di raccogliere iscritti...oppure le altre professioni sono messe peggio di noi!!!
Chiara :
Io certo ci penserei molto su prima di investire un capitale per montare una "moderna impresa di servizi architettonici" senza nessuna analisi di mercato che dimostri che c'è una reale domanda e prospettiva di futuro in Italia per imprese del genere. Le persone che conosco che si lanciano in questo tipo di avventura non lo fanno in Italia... ma a Dubai o a Shangai dove c'è un boom economico ed edilizio simile a quello che c'è stato in Italia nel dopoguerra.
Sinuhe :
Sono felice che stiamo incanalando il discorso nella giusta direzione. Dan, è sicuramente fasato con il discorso che ho iniziato ad accennare.
D'altra parte mi sento di aprire una parentesi per nico. Io ho solamente cercato di individuare degli orientamenti guida per la professione, senza il desiderio dello sfoggio di una situazione economica che, a quanto pare, tu conosci bene. Mancano ancora le criticità nei tuoi discorsi utili a far crescere questo post, criticità che leggo in Dan o Chiara.
Non credo di aver detto che l'alternativa alla paga salariale sia mettersi in proprio. Affatto. Semmai ho cercato di dire che una possibile svolta nella professione, può delinearsi attraverso l'associazionismo di studi di architettura specializzati nel proprio settore, che aggrediscono il mercato mediante un'offerta a largo spettro, e non generica. E' necessario ridurre gli studi di architettura e non aumentarli ulteriormente. E' necessario garantire il consociativismo all'interno di una realtà professionale, piuttosto che frammentare ulteriormente il mercato con singolari offerte non inserite nell'entourage produttivo di una città. L'architetto è pertanto il gestore di un processo edilizio, che viene sviluppato da specifiche competenze professionali. Credo che il project management anglosassone possa aiutare meglio a specificare ulteriormente ciò che intendo dire.
Vichy :
....nessuno...leggere le tue frasi tipo "Mancano ancora le criticità nei tuoi discorsi utili a far crescere questo post, criticità che leggo in Dan o Chiara." mi fa girare le palle...se metti un psot qui ognuno è libero di risponderti come vuole e come pensa...se le risposte non sono di tuo gradimento allora fatti un blog o un sito e discutine la con genete selezionata da te e che ti dia ragione, e che cavolo.
Sinuhe :
Chiedo scusa. Non volevo giudicare nessuno. La questione tra me e nico, va avanti da qualche post, pertanto penso che lui possa meglio capire il senso del discorso. Nell'eventualità che anche nico equivochi, non ho alcun problema a rinnovare le scuse. Evidentemente il mio intento è un altro e non certo giudicare le persone.
dan :
cavolo Vichy non attacchiamoci per partito preso. Sinuhe intendeva che attraverso una buona critica può crescere l'interesse del post. Comunque per rispondere a Chiara, sicuramente lì dove un mercato tira è più facile inserirsi, anzi paradossalmente in Cina o a Dubai anche un piccolo studio può trovare spazio, data l'abbondanza di domanda. Il difficile è proporre novità in mercati maturi e saturi come il nostro, posso dirti che conosco abbastanza bene il mercato delle libere professioni, e le realtà che crescono meglio si muovono nella direzioni di società professionali.
Io credo che il "capitale" per montare una "moderna impresa di servizi architettonici" sia soprattutto un capitale culturale, cioè iniziare pensando ad un obiettivo di medio periodo che non è il semplice studio, ma al di là di quello le risorse economiche necessarie non poi tanto diverse. Anzi, volendo seriamente costruire un'impresa potresti essere molto più interessata ad aver soci (altri professionisti, di settori integrabili) e quindi paradossalmente potrebbe anche costare di meno.
Un esempio di impresa professionale? Prova a guardare lo studio legale Bonelli Erede Pappalardo loro sono un perfetto esempio di quello che intendo, però anzichè essere architetti sono avvocati
nico :
non mi offendo, non ti preoccupare.
però credo che ti sia dilungato troppo in un'analisi che tutti viviamo giorno per giorno sulla nostra pelle.
ormai conosciamo perfettamente le logiche di questo lavoro.
associarsi diventa senz'altro una delle soluzioni ma il problema di trovare lavori resterà sempre fino a quando il sistema clientelare resterà intatto.

ps. non mi offendo però devi ammettere che i tuoi post sanno un po' troppo di sermone e monologo.
anche di "professorino". a volte sembra quasi che tu cerchi delle risposte che già conosci.
nell'altro post quando non abbiamo fatto le considerazioni che speravi hai chiuso dicendo che siamo una classe inadeguata.
qui nessuno ci allega il CV ma come condizione iniziale io direi che deficienti non ce ne sono.
tra colleghi quindi un linguaggio un po' meno formale sarebbe l'ideale credo.
magari anche più pratico visto che qui siamo pochi e sarebbe il caso di far uscire le nostre idee come alcuni tentano di fare.
insomma se scriviamo tutte ste cose e ce le diciamo in 10 non si conclude nulla.
nico :
se parliamo in italiano forse è meglio
arko :

"Nico":ps. (...) devi ammettere che i tuoi post sanno un po' troppo di sermone e monologo.
anche di "professorino". a volte sembra quasi che tu cerchi delle risposte che già conosci.(...)
Altro da aggiungere?
Sinuhe :
Sono dispiaciuto di dare quest'impressione a taluni di voi. Se questi miei "sermoni" sono ritenuti inutili, possiamo tranquillamente fermarci qui. Consiglierei pertanto nico ed arko di evitare di leggermi e/o rispondermi.
Evidentemente ritenete che queste mie illazioni sono semplicemente espressioni esibizioniste di un "professorino" saputello della Bocconi, pertanto pleonastiche. Spesso anch'io provo rigetto verso le persone che reputo più in gamba di me. D'altra parte, negli anni, sto imparando ad avvicinarmi verso queste persone senza pregiudizi, accantonando il mio orgoglio, cercando dunque di confrontarmi con loro, magari acquisendo nuove conoscenze.

Alla fine, forse, avete però ragione voi. Possiamo sempre affrontare la professione con la nostra vecchia riga e squadra, continuando a saturare il mercato con l'apertura di piccole realtà professionali, consumando la nostra vita a farci lotta a vicenda per poche lire, senza comprendere che se avessimo provato ad uscire dal sistema clientelare, le cose sarebbero probabilmente andate diversamente.
Buona fortuna.

Luca Cordero di Montezemolo


nico :
evidentemente non leggi oltre le critiche.
sono d'accordo con quello che dici ma servirebbe uscire da questo sito dove siamo in 10 a leggerci.
e finiscila di fare il presuntuoso...........ma chi ti fa credere che sei più in gamba degli altri?????????
cito testualmente:"Spesso anch'io provo rigetto verso le persone che reputo più in gamba di me".
non meriti ancora del mio tempo.
kitto :
"...a volte sembra quasi che tu cerchi delle risposte che già conosci..." e che male c'è? porre un interrogativo avendo un proprio punto di vista è da professorino? non mi pare. Il punto è che forse avete una sorta di rigetto per il linguaggio che usa Sinuhe: non volete essere giudicati ma giudicate... ognuno parla come gli pare. Questo è un luogo di confronto e nient'altro, chiunque ha voglia di sindacare il linguaggio altrui vada all'accademia della crusca! Andiamo avanti colla discussione.
Io penso che il mercato dell'architettura (per forza di cose connesso a quello dell'edilizia, molto più ricco) stia cambiando mentre la figura dell'architetto è rimasta a Le Corbusier, uno che dipingeva, viaggiava, scriveva, disegnava arredi, progettava architetture divenute capolavori: questo oggi è un lusso, purtroppo. L'architetto non è più l'intellettuale-artista o meglio non è richiesto dal mercato e visto che l'architetto non si adegua, il mercato lo punisce. Pensiamo per un attimo a come potrebbe essere uno studio al passo coi tempi: 4-5 persone in cui ognuno ha competenze diverse. Uno si occupa di design (e basta), un altro di restauro (e basta), un altro di ristrutturazioni (e basta) ecc. ecc. naturalmente questo è un esempio, invece di 4-5 ci possono essere anche 10 persone, ma con la stessa filosofia e che quindi formano 5 coppie. Forse la riforma universitaria avrebbe voluto portare a un simile risultato tuttavia ha fallito per la fantastica trovata dell'arch junior, una figura che io ritengo anacronistica. Tutto ciò comunque non costituisce una soluzione definitiva perchè il sovranumero resta. Viviamo nell'età dell'alfabetizzazione di massa, tutti hanno accesso al sapere e non si può impedire a nessuno di scegliere cosa studiare. Forse però si potrebbe SCORAGGIARE la scelta informando e "sensibilizzando" quanti si apprestano a iscriversi all'università.
sapi :
...è molto che non posto su questo sito e non ho letto il post precedente che ha innescato questa discussione comunque mi permetto di dire la mia:
ho appena aperto uno studio da "fighetta",da sola ma con l'appoggio esterno del mio copmpagno ancora ingabbiato in una collaborazione milleurista in uno studio, e faccio tutti i lavori che mi capitano, questa è stata una scelta obbligata xchè dopo 6 anni di collaborazioni a mille euro al mese mi sono detta: se va peggio di così cambio lavoro. Sono molto preoccupata per il futuro.
Premesso questo vorrei dire dare alcuni punti nuovi di riflessione:
- in una piccola realtà di paese o di cittadina è difficile trovare le persone adatte per avviare uno studio di una certa dimensione: mancano essenzialmente compentenze specialistiche e mentalità di collaborazione trasparente;
- non esiste alcun tipo di incentivo statale, regionale, comunitario perchè un professionista possa essere aiutato a sopportare i costi elevatissimi di avvio, basti pensare ai costi dei programmi anche se sono riuscita in parte ad ovviare con alcuni programmi open source,
- sto tentando di creare un network di professionisti ("sfigati" come me) multidisciplianare cercando di mettere d'accordo alcuni amici ing, geom, geol, agronomi anche fuori regione con l'ausilio di internet per lo scambio dei progetti ma è tutto molto difficile e complicato.
-la multidisciplianarità è una scelta obbligata se si opera con piccoli progetti dove serve tutto esempio anche se so fare il catasto preferirei che lo seguisse uno specialista...
Insomma sarebbe bello poter pensare in grande ma siamo piccoli, le leggi che invitano alla concorrenza e che allo stesso tempo permettono che un dipendente comunale possa fare la libera professione (=concorrenza sleale)tendono a renderci rissosi tra di noi per accaparrarci il minimo per la sopravvivenza, gli ordini professionali tollerano lo sfruttamento dei collaboratori, l'università non ci dà sufficienti nozioni tecnico-pratiche per affrontare una piccola DIA in comune...
Dopo 6 anni di arrabbiature continue con il sistema ci sto provando ma sinceramente la vedo grigia e le analisi a tavolino a volte non aiutano. Consigli?
Sinuhe :
Ho l'impressione che nico e arko rappresentino una limitata frangia di individui che anziché, affrontare professionalmente la questione sollevata dal sottoscritto, prediligano forme di dissociazione adolescenziali.
E' interesse comune sviluppare l'argomento, avviando insieme orientamenti d'indirizzo per la professione futura.
Ringrazio sapi per l'intervento, invitandola a leggere il mio precedente post "L'industria dell'indecenza" per sviluppare insieme le problematiche sollevate, magari trovando punti in comune e possibili scenari di crescita.

P.S.: Posso sempre esprimermi come un punkabbestia, scrivendo con le "k" al posto delle "c" ed intercalando "raga" nella conversazione. Perdonatemi se preferisco dissociarmi da queste forme esprimendomi con voi con il rispetto che si conviene tra professionisti.
Dani :
Il 26 dicembre del 2005 usciva sulla webzine Archimagazine questo mio articolo che riporta bene o male gli stessi punti che sono stati citati in quest'ultimo intervento. Sperando possa servire a qualcosa, vi auguro una buona lettura.

Modello alternativo di management e produttività della professione architettonica: suggestioni
di Daniela Lubreto

La professione di architetto è, negli ultimi decenni, nel pieno di una crisi senza fondo dalla quale ancora non ha saputo trovare i mezzi e la volontà per uscirne: le facoltà di architettura crescono in numero sproporzionato rispetto all'attuale capacità del mercato di assorbire questi professionisti; gli architetti sono in numero sempre maggiore e, spesso, non sono che una minoranza a poter realizzare la professione.
In alcune realtà - come soprattutto in quella italiana - il privato rigetta quasi del tutto il ricorso ad interpellare tali professionisti un po' per sfiducia, molto per mancanza di un'adeguata cultura architettonica: "Cosa fa l'architetto? Quale è il suo contributo per il cittadino privato e per la comunità?"
Allo stesso tempo la sfera pubblica riconferma questa mancanza di consapevolezza del ruolo (chiave) di tale figura ed aggrava la situazione, emanando leggi e dettando disposizioni che consentono anche a professionalità lontane dal progetto di architettura, la pratica architettonica. Soprattutto limita un confronto stimolante ed aperto nel settore sbarrando di fatto l'accesso ai pubblici concorsi di progettazione e/o appalti alla stragrande maggioranza dei professionisti - soprattutto ai più giovani - e confermando, infine, la tendenza a sottovalutare l'operato di questi professionisti bandendo concorsi dai ridicoli premi, che a malapena compensano sforzo e risorse
impiegate.
Questa è la situazione del settore, con intensità e declinazioni differenti, comune a tutto il mondo cosiddetto "sviluppato".
In tutto questo sfacelo, gli architetti sono per lo più complici: insistono nel riproporre la figura obsoleta dell'architetto tuttofare in un mondo dove le conoscenze aumentano giorno per giorno e tenere testa a tutto lo scibile è impresa assai ardua.
Nonostante l'aggiornamento continuo sia prassi molto diffusa nella categoria, questa strategia individuale si rivela dispersiva e fuorviante dal problema. La conseguenza più diretta è che la capacità effettiva dell'architetto di migliorare la società, l'ambiente umano e la qualità della vita - suoi primi e storici obiettivi - è veramente scarsa in quantità e qualità.
Un'adeguata campagna promozionale ed informativa, interventi di didattica sulla popolazione, marketing della figura professionale, riorganizzazione della professione per livelli di specializzazione sempre più necessari, gestione di queste specializzazioni mediante un apparato specifico, individuazione degli strumenti finanziari atti a supportare l'attività, le idee ed il contributo della professione sulla società, selezione degli strumenti gestionali atti a coordinare i contributi vari in un tutt'uno omologo che evita dispersione di risorse e mira a risultati unitari, possono essere le vie possibili per un rinnovamento vitale di una professione che fino a 100 anni fa era un pilastro della società e ritengo ancora possa esserlo.
Se pensiamo all'esempio fornito dalla professione del medico - come sostiene il professore Paolo Bettini dell'Università di Chieti - ritroviamo nella specializzazione proprio la chiave del suo attuale successo: una figura di medico generico rimanda a degli specifici professionisti e le specializzazioni sono così efficacemente delineate e rigidamente separate che non permettono a degli specialisti di invadere il campo di altri. Alla base anche la coscienza che il rispetto dei limiti è fondamentale per la tutela e la sopravvivenza della categoria intera. Certo in questo caso strumento di coordinamento e smistamento fondamentale è stato il sistema ospedaliero ed
assistenziale che, pur cambiando da paese in paese, assicura sempre e comunque le basi per il suo funzionamento. Studiare questo esempio, paragonarlo alle peculiarità ed esigenze della professione di architetto, potrebbe essere un buon punto di partenza per individuare strumenti ed organizzazione plausibile allo smistamento ed alla separazione dei vari sub settori disciplinari.
Inoltre, sempre secondo il prof. Paolo Bettini, possiamo ricercare le chiavi di una possibile ristrutturazione del settore anche seguendo lo studio dell'andamento dell'offerta professionale fornita sul mercato dagli avvocati, che nell'ultimo decennio si sono dischiusi settori nelle aziende private solitamente estranei alla prassi legale o "esterni" alla pratica aziendale. Un esempio omologo, a mio avviso, può riscontrarsi studiando la tattica di rilancio sul mercato di molti umanisti, oggi i migliori e più adeguati specialisti per la gestione e risoluzione di determinate problematiche
aziendali (p. e. settore delle Risorse Umane). Può allora, ad esempio, intendersi il professionista di architettura in altro modo? Per esempio, come un coordinatore di uno specifico tipo di risorse, capace di dare particolare rilevanza e valore a determinati aspetti peculiari della sua "forma mentis"? capace non solo di organizzare al meglio degli specifici processi all'interno dell'azienda, ma anche di contribuire ad individuare strategie di mercato e caratteristiche dei prodotti che
fondino su quelli che sono i postulati sostanziali del fare progettuale architettonico? Non a caso nell'ultimo decennio è nata spontaneamente la denominazione di architetto informatico ed, allo stesso tempo, la figura del web designer, non di rado ricoperta da architetti: queste "deviazioni" sono ancora troppo spontanee e sporadiche, mentre necessario sarebbe individuarle all'interno di una proposta di strutturazione organica della professione.
Ancora secondo il professore Paolo Bettini, un ulteriore esempio può essere fornito dallo studio relativo all'approccio metodologico degli ingegneri nei confronti del proprio lavoro, che fonda sempre sulla scientificità della dimostrazione dell'efficienza dei mezzi impiegati e dei benefici dei risultati ottenuti.
Dunque, individuazione dello specifico contributo della figura dell'architetto all'interno degli obiettivi comuni alla società civile, analisi dei benefici - intrinseci ed estrinseci - direttamente rapportabili alle sue prestazioni, catalogazione delle forme di finanziamento ordinarie ed alternative finalizzate al raggiungimenti degli obiettivi di questa nuova figura rigenerata, strumenti di promozione della professione, tattiche per tale promozione, sono solo alcune delle misure necessarie da individuare per un rinnovamento generale della professione, sostanziate - ove possibile - da adeguati piani economici a sostegno di esse.
Ovviamente ritengo necessario affrontare anche il discorso nello specifico dello studio di progettazione vero e proprio, sovente paleolitico nelle strategie e nell'organizzazione aziendale, e nei possibili modi di fare impresa adeguati a queste figure professionali. E mi sovviene in mente anche qui la necessità di selezionare sì tutti gli strumenti finanziari atti a supportare gli interventi che si intende autonomamente proporre alla società civile, ma anche la necessità di individuare
nuove forme aggregative e organizzative dello stesso e, soprattutto, l'obbligo di dotarsi degli strumenti manageriali, già prassi in molti altri settori. Considerando che oggi una possibile risoluzione dei problemi degli studi professionali e degli architetti potrebbe risolversi suggerendo forme associative tra professionisti e, tenendo sempre più a mente che la maggior parte delle commesse tende ad essere assorbita sempre più dai grandi studi, sarebbe d'uopo ipotizzare e delineare nuovi tipi di professionisti intermedi, come i project manager o meglio gli architetti gestionali, per usare una nomenclatura già in uso in Italia nell'ambito dell'ingegneria.
Sul piano pratico, la nostra società brama della necessità di interventi su problematiche che possono essere individuate e risolte specificatamente dalla figura professionale dell'architetto. Il mondo è una risorsa enorme di commesse che, però, spesso le contingenze della vita quotidiana e la mancanza di un supporto gestionale di riferimento, lasciano relegate alla fantasia ed agli articoli di settore di molti colleghi.
Proporre un vademecum di tutti possibili interventi esclusivamente risolvibili dalle competenze dell'architetto, suggerire la possibilità di raccogliere all'interno degli ordini professionali un elenco delle problematiche già in via di risoluzione, organizzare e coordinare le risorse disponibili su progetti omologhi, permettere, dunque, così il confronto tra i vari progetti, ambiti e professionisti possono essere alla base dell'attuazione di piani organici di intervento sull'ambiente umano e sociale, andando a riorganizzare così la figura professionale con lapalissiane ripercussioni su
quella che è la percezione di tale professionalità nella società, affrancando una volta per tutte l'opera architettonica da quella scarsa capacità di incisività sul territorio dovuta alla prassi di interventi isolati e puntuali.
kitto :
sulla multidisciplinarità pienamente d'accordo,
sull'architetto gestionale no: mi sembra una forzatura.
arko :
Caro Montezemolo. Il problema che tu indichi nella mia persona e in quella di Nico, è proprio il tuo linguaggio. Tu parli di individui, e non di persone, di frangia, come se fosse un processo, di dissociazione adeolescenziale, come se chiunque sia in disaccordo con te, lo faccia per partito preso, come l'adolescente appunto, che quando non vuole giocare più se ne torna a casa e si porta dietro il suo pallone. Non voglio parlare anche per Nico, che evidentemente è più intelligente del sottoscritto e ha deciso di ignorarti, ma ho l'impressione che anche lui come me è tediato proprio dal tuo atteggiamento, che anzichè invitare alla discussione crea disinteresse per la questione stessa che tu poni. Che, per carità, sarà densa di spunti validi, ma che perde la sua efficacia intrisa com'è del tuo sconfinato ego e del tuo compiacimento nel rileggerti. Non provo rigetto per te, tranquillo, nè per le persone più in gamba di me; anzi, se mai ho provato rigetto è stato per quei "professionisti" che ho incontrato in questi anni di attività, con i quali ho dovuto collaborare, dai quali ho dovuto prendere ordini, pur sapendo di essere "più in gamba di loro". Quindi, caro Sinhue, o Luca, evita di "dispensare" il tuo sapere, o perlomeno, evita di dispensarlo: se hai delle competenze maggiori mettile a disposizione senza perderti in inutili precisazioni autocelebrative. I più grandi sono spesso anche i più umili. Io, come Nico, Beppe, Delli, Alinger, Desnip, e tanti altri con cui mi scuso in anticipo per non ricordarne i nick (mi scuso anche per l'uso della K), frequentiamo questo forum per risolvere dei problemi quotidiani, per dare e prendere, non per deridere chi pone anche la più stupida delle domande. E se alcuni di noi preferiscono riga e squadra, forse perchè hanno una vera passione per questo lavoro, al di là del tornaconto economico che possono trarne, rispettali come quelli che ti incensano.
Con affetto
Un Architetto.
sapi :
Negli articolati ed interessanti interventi di dani e sinuhe mi sembra di cogliere un fraintendimento di base nell'approccio critico "all'obsoleta figura dell'architetto tuttofare" ovvero:
ripeto non è una scelta ma una necessità di sopravvivenza per i piccolissimi studi, se ci fosse un'alternativa praticabile sarei la prima...a tal proposito sottolineo che a livello nazionale gli ordini osteggiano il formarsi di società professionali costituite da professionisti di diverse discipline. Quanto vorrei un commercialista e un avvocato nella mia idea di network!
Dal momento che l'argomento è vasto aggiungo alcune riflessioni disarticolate sperando che siano comunque comprensibili:
- tutte le analisi sono rivolte al modello del grandissimo studio, magari internazionale e iper specializzato, che non potrebbe riproporsi immutato nella la realtà italiana in quanto storicamente caratterizzata da forme di sviluppo sociale e imprenditoriale medio piccole, aggiungo non necessariamente fallimentari ma anzi valore aggiunto per il modello italiano,
- si dovrebbe forse pensare ad una forma di studio media e multidisciplinare in grado di risolvere meglio le criticità pratiche che si affrontano nello svolgimento di progettazioni in cui il committente non è un grande ente ma un piccolo privato, tentando di aumentare la qualità dell'architettura minore devastata da anni di abbandono,
- per favore basta parlare della "missione sociale dell'architetto" è un approccio che rende per l'utente finale del tutto incomprensibile le competenze dell'architetto,
- basta anche alla forma mentis che alcune volte scade nella rigidezza e nella acriticità,
- non trovo per niente percorribile la strada delle "specializzazioni rigidamente delineate" in un progetto di architettura perchè nella pratica sarebbe un delirio ritengo che debbano esserci delle competenze ma che l'architetto, che spesso svolge anche un lavoro di sintesi e coordinamento tra i vari geometri, geologi, impiantisti specialmente oggi che la normativa è così "nebulosa", debba poter dialogare con figure professionali di altri campi che non significa essere tuttologo ma avere la possibilità di interagire per risolvere situazioni pratiche problematiche,
- si i finanziamenti ci vorrebbero, per iniziare basterebbe veramente poco...

Mi piacerebbe aggiungere altro ma il posto è già lunghissimo. Saluti


sapi :
Tenderei a non arrabbiarmi con sinuhe perchè c'è la possibilità che sia un troll...
dan :
sapi ce ne fossero di troll come sinuhe... posso capire che magari non tutti apprezzano l'atteggiamento, ma sicuramente alcuni argomenti sono molto interessanti.

Certamente c'è da distinguere tra i diversi contesti in cui si opera. Tu, cara sapi, mi sembra di aver capito che operi in una città di provincia, e non in una delle grandi città, in cui l'economia terziaria è più avanzata (Milano, Torino, Roma, Bologna, Firenze, Verona, Venezia, Napoli e Palermo).
Quindi è perfettamente normale che nel tu territorio non ci sia ancora forte la necessità di un organizzazione tipica delle grandi città. Come mi sembra un'ottima idea cercare di costruire un piccolo (o grande) network di professionisti locali per poter essere adattabili rispetto alle richieste, poi si sa, da cosa nasce cosa e in un futuro potreste capire che è un valore aggiunto per tutti unirsi. Il difficile è selezionare i membri della rete, perchè alcuni obiettivi e visioni devono essere comuni altrimenti il gioco diventa a somma positiva per alcuni e negativa per altri. Diciamo che in questo ci manda un visione imprenditoriale di lungo periodo, cioè: "ragiono con questo collega perchè comprendo di poter costruire insieme un grande progetto professionale" ma rimaniamo un pò troppo ancorati al hic et nunc
saluti
Sinuhe :
se vogliamo continuare a discutere tra persone civili.
sapi :
la mia era solo una battuta, me ne scuso.
sapi :
perchè cara? Devo offendermi? non capisco, sarà perchè non vivo in un contesto terziario avanzato?

Per chiarezza: la mia riflessione era riferita alla scala dell'architettura minore e non tanto alle dimensioni del contesto urbano in cui si opera. Come dire archistar vs architetti.

kitto :
in teoria è interessante l'idea di associare diverse figure in uno stesso studio e se non sbaglio non stiamo scoprendo nulla di nuovo visto che era un'ipotesi/idea avanzata dall'ex ministro Bersani (concretizzata nell'art.2 DL 223/2006 convertito con legge 248/2006) in occasione della campagna di liberalizzazioni che ha portato avanti... che prevede che "l’utente potrà rivolgersi a società multidisciplinari (formate da architetti, avvocati, notai, commercialisti ecc…)". Tralasciamo l'intento di Bersani e consideriamo gli aspetti che ci riguardano:
1. ve l'immaginate il commercialista Tizio che condivide il suo studio con l'avv. Caio e l'arch.Sempronio?
Voglio dire, siamo culturalmente preparati a fare un passo del genere? Grandi e autorevoli professionisti che all'improvviso diventano formiche che lavorano per lo stesso formicaio? E dove lo mettiamo l'ego (l'orgoglio) con cui vanno in giro oggi questi professionisti?
2. E' già difficile convivere tra architetti, cioè tra figure professionali che dovrebbero intendersi per formazione pregressa e per intenti futuri e invece...figuriamoci tra figure professionali che hanno in comune quasi nulla.
3. Non si svilirebbe la figura professionale (nell'immaginario collettivo)?
4. e' una istanza reale dell'utente? -> siamo sicuri che uno che va da un architetto ha bisogno di trovare alla porta a fianco un commercialista o un avvocato? allora è come andare in una galleria commerciale? la prestazione di questi professionisti è assimilabile a dei prodotti?

Sono scettico.

daniele :
@sapi: il cara era una gentilezza, se vuoi la prossima volta scrivo: "cattiva sapi ecc..." oppure evito direttamente, così evito anche le tue freddure (sono un pò permaloso) :)
non credo che il contesto urbano obblighi tutti ad essere archistar, tutt'altro, però credo che in una città dove la concorrenza è più numerosa (non migliore o peggiore, semplicemente più numerosa) e dove le innovazioni anche professionali giungono prima è forse necessario operare diversamente rispetto ad un contesto non urbano.

@kitto: secondo me se in futuro si vorrà mettere insieme il pranzo con la cena sarà necessario mettere da parte l'orgoglio e il pregiudizio e strutturare un'offerta professionale in linea con le richieste del mercato.
naturalmente poi devi fare le cose fatte bene, fare uno studio con un commercialista vuol dire poco, però fare uno studio con un avvocato amministrativista è invece una cosa molto interessante. Sull'ego ho già risposto, tra l'altro non mi sembra di sminuirmi professionalmente, e non mi sembra che in quanto ad ego gli architetti siano secondi a nessuno.
Alla 3 e alla 4 rispondo insieme, per quello che vedo io è un'esigenza del mercato e chi sa offrire un prodotto (o servizio) integrato è molto ben visto dal committente che quindi apprezza queste figure professionali. io un pò d'idee in testa ne ho, e ho avuto riscontri che mi fanno pensare di essere sulla strada giusta, ancora qualche anno e ci provo, magari andrà bene, magari andrà male, ma perlomeno saprò di averci tentato :)

ultima cosa: la prestazione professionale è un servizio, quindi un prodotto "immateriale" di una società terziaria, ma risponde alle normali leggi del mercato.
la domanda da porsi è quanti architetti si sentono imprenditori e quanti artisti o scienziati sociali?
sapi :
sono permalosa anch'io ...

Tornando a bomba credo che il problema sia proprio nel fatto che molti architetti si sentono artisti o scienziati sociali prima che tecnici quindi con lo scopo, sono d'accordo con daniele, di prestare un servizio, visto che il progetto resta un'opera intellettuale. Certamente una buona opera di architettura può avere anche risvolti nel campo artistico o sociale ed è indubbio che la sopravvivenza di uno studio professionale dipende anche dal riuscire ad avere una mentalità imprenditoriale.
Per quanto riguarda la proposta di legge citata: proprio a quella mi riferivo quando ho detto che non capivo perchè sia stata osteggiata in quanto tale, senza lasciare ai professionisti la possibilità o meno di usufruirne per adattarsi alle diverse esigenze di mercato in cui si trova ad operare in regime di concorrenza.
A cosa può servire un avvocato o un commercialista o un geometra o un agronomo ecc... in uno studio di architettura multidisciplinare? A fornire un servizio di qualità al cliente nonchè a dare all'architetto una struttura di supporto per le scelte strategiche di impostazione ed investimenti dello studio stesso.
dan :
infatti considero la legge bersani una legge importante per modernizzare le professioni, peccato che sia andata a toccare qualche professione tralasciando altre, ma sicuramente è un passo in avanti.
tra l'altro mi spiace dirlo ma non è ancora così facile fare società tra professionisti di discipline diverse, in questo la legge è ancora poco chiara...
alla fine è uscito un buon dibattito, meglio per noi!
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