Premetto che, sono consapevole del fatto che il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica (a cui è subordinato il rilascio di un PdC) è facoltà dell'U.T. comunale (la soprintendenza esprime solo un parere), ergo ha il coltello dalla parte del manico e di conseguenza, tocca quasi sempre accondiscendere.
In merito ad un incarico, mi sono sorte parecchie perplessità.
Tralasciando che il comune ha un contenzioso con la soprintendenza e quindi, lo strumento urbanistico non prevede fascia di rispetto dei corsi d'acqua dove, invece, la soprintendenza ritiene sia presente (per loro ammissione non potevo saperlo). Tralasciando pure che il comune, operando in autotutela, sospende la procedura di rilascio del PdC ed esige richiesta di autorizzazione paesaggistica.
Mi domando se sia lecito vedersi imporre soluzioni atte a "mascherare" la struttura in progetto, degne delle opere di mitigazione che sarebbero richieste per una centrale nucleare.
Possono imporre dimensione e forma delle fasce verdi (al punto di limitare la fruibilità/funzionalità del progetto), ivi compreso il numero, la distanza gli schemi di piantumazione e le essenze delle specie arboree? Si parla di siepi + arbusti + alberi di alto fusto e della possibilità che addirittura prescrivano le dimensioni/altezze al momento dell'impianto.
Possono farlo sulla base di una delibera varata dalla Regione per tutt'altra funzione (opere di rinaturalizzazione delle ex cave di inerti nel bacino del fiume Po)?
Possono imporre l'abbattimento di un muro di cinta esistente (non oggetto di intervento) per sostituirlo con un'ulteriore fascia verde atta ad ospitare una cortina di arbusti, siepi ed alberature?
Possono imporre di rivestire con rampicanti persino il muro di cinta che separa la proprietà oggetto di intervento da quella del vicino?
Possono esigere che il tecnico incaricato della progettazione architettonica e della redazione della paesaggistica arrivi a tale livello di definizione (finendo per compromettersi e vincolarsi a quanto dichiarato), sconfinando nell'agronomia?
A mio modesto parere, in questo frangente, si è perso il senso della misura e ho la sensazione di avere a che fare con personaggi che stanno andando ben oltre il proprio potere decisionale. Diciamo che il confine tra le richieste lecite e le imposizioni ideologiche, mi appare sempre più labile.
Per la cronaca, stiamo parlando di un autolavaggio ai margini del tessuto urbano consolidato e della tangenziale.
L'imperativo, dichiarato dai tecnici comunali, è fare in modo che non sia in alcun modo visibile così che non vada a contrastare col paesaggio. Paesaggio che, seppur degradato, nel momento in cui intervengo, non solo deve essere rispettato, ma ripristinato e migliorato. Sia chiaro che sono il primo ad avere a cuore il paesaggio, ma ritengo non sia lecito approfittare del cittadino e della sua necessità d'intervento per "salvare il mondo".
Il trattamento è analogo, se non più oppressivo, di quello riservato ad enormi superfici logistiche che per volumi, non sarebbero schermabili nemmeno con una foresta di sequoie.
Al di là delle questioni filosofiche, tutto ciò si traduce in enormi costi imprevisti da sostenere a carico della committenza, nonchè in una pesante limitazione tanto alla visibilità dell'attività da insediare, quanto alla gestione della medesima.
In altri frangenti, tanto al sottoscritto, quanto alla committenza, verrebbe voglia di portare tutto in tribunale, ma i tempi sono stretti ed è concreto il rischio di perdere decine di migliaia di euro di incentivi (industria 4.0) oltre che in avvocati.
Non mi dilungo oltre, ma sarebbero graditi commenti, riflessioni ed ovviamente, suggerimenti.
Archifish : [post n° 471096]