HOTEL POLONIA - Fotomontare il futuro
pubblicato nella rivista "L'UOMO Vogue" nel numero di Aprile 2009
di Marco Sammicheli
In quel singolare agglomerato che sono i giardini della Biennale di Venezia sorgono i padiglioni nazionali, edifici che a cadenza regolare ospitano mostre ed eventi, ma la cui destinazione d'uso è sempre stata oggetto di dibattito, quasi si dovesse garantire a certa architettura il "sonno dei giganti'. È pero in tempo di Biennale che quest'area si trasforma in una mappa del mondo, in un parco dove ogni singolo edificio diventa albergo dell'espressione contemporanea di un paese, una sorta di realtà extraterritoriale della cultura visuale. Grandi architetti nel corso della storia si sono misurati con il progetto di questi spazi. Tra i casi più noti ci sono senza dubbio il progetto di Fehn (recentemente scomparso) per il padiglione dei Paesi Nordici, quello di Aalto per la Finlandia, quello di Rietveld per l'Olanda, solo per citare alcune delle occasioni in cui la scelta dell'architetto era ricaduta su una personalità nazionale, poiché anche nell'ufficialità le contaminazioni non sono mancate, per esempio gli italiani BBPR realizzarono il padiglione canadese e Scarpa disegnò quello venezuelano. Ad ogni Biennale si ripete il rito della passeggiata nel serraglio, una passeggiata ricca di sorprendenti incontri, cocenti delusioni o palesi interrogativi ogniqualvolta si visitino questi edifici. Un villaggio metafora della presunta versatilità dei contenitori rispetto ai contenuti e un interrogativo su come anche le architetture abbiano una data di scadenza e possano perdere significato se sottratte alla dialettica del contesto. In occasione della recente Biennale d'Architettura intitolata "Out there. Architecture beyond building' una delle sorprese più interessanti, questa volta suggellata anche da un Leone d'oro per la migliore partecipazione nazionale, è venuta proprio da un padiglione, quello polacco, con un progetto che ha saputo coniugare visione, critica e sperimentazione. Hotel Polonia, questo il nome del progetto, è un lavoro di due giovani artisti, Nicolas Grospierre e Kobas Laksa , curato da Grzegorz Piątek e Jarosław Trybuś. Il padiglione, uno di quelli la cui fattura non è certo classificabile tra i migliori esempi sopra elencati, presentava sei edifici, ognuno di essi raccontato con due immagini che rappresentavano lo stato dell'arte e la mutazione dell'edificio a distanza di tempo. La destinazione d'uso di questi edifici era stata sottoposta ai mutamenti della vita, cambiamenti fantasiosi e paradossali volti a mettere in crisi il concetto di immutabilità dell'architettura. Un areoporto trasformato in pascolo con fattoria, una chiesa in parco acquatico, un edificio per uffici in cimitero erano alcuni esempi di come la veloce cronaca contemporanea fosse interpretata come un processo che può sgonfiare l'architettura. Immagine anticipatoria della crisi e delle connesse mutazioni culturali che hanno ora investito il mondo del progetto. Trybuś parla proprio di "un'architettura che ancora dipende da componenti edilizie e lunghi processi, attestandosi così molto indietro rispetto ad altri settori'. Questa è la riflessione che ha portato i curatori a pensare che l'architettura contemporanea, anche quella più prestigiosa e monumentale, potesse rivelarsi inutile nel tempo, non praticabile. Hotel Polonia è "una combinazione significativa di arguzia, tecnologia ed intelligenza che sollevano la questione del ciclo di vita degli edifici all'interno delle città', per dirla con le parole della giuria della Biennale. La capacità di oscillazione tra arte e manifesto d'architettura di Grospierre e Laksa risiede anche nel loro non essere architetti ma artisti. Ancor meglio dei progettisti sono stati capaci di interpretare il tema dell'architettura oltre il costruito, affrontando temi più vasti, perché – come dice Grospierre, "non sentendo il peso della realtà (professionale) sulle spalle' - sono interventi prefigurando un futuro in cui persone, animali, abitudini e culture re-interpretassero e addirittura riconvertissero un edificio. Sempre Grospierre raccontando la reazione del pubblico e dei giornalisti alla prima presentazione del progetto, dice che "quando fu pubblicato uno degli edifici trasformati ci fu uno scandalo. I proprietari ritennero che la buona reputazione dell'edificio era stata insultata'. Aldilà dell'incomprensione rispetto a quanto il progetto volesse comunicare l'episodio esprime la tensione che si può innescare "quando la rappresentazione di ciò che un edificio può diventare si allontana da ciò che l'edificio rappresenta in quel momento per la proprietà e per la società'. La carica di critica e visione espressa nell'immaginare l'ipotetico e paradossale "dopo' di questi edifici è stata un'operazione politica e culturale che si apre a diversi livelli di lettura. Piątek parla di "un attacco al presente e al futuro' e si chiede se "davvero vogliamo che gli architetti si concentrino nel progettare future rovine invece di edifici responsabili e rispondenti'. In particolare sempre Piątek descrive il lavoro di Laksa sottolineando la capacità "di presentare il futuro come un collage di cose esistenti', individuando in questa modalità "una convincente espressione che eviti quell'immagine naif tipica della science fiction'. Laksa aggiunge, con riferimenti alle installazioni della Biennale, che "le trasformazioni mostrate nei fotomontaggi sono visioni futuribili; tuttavia il cambiamento dell'architettura degli edifici è già un processo in atto. Il Palazzo della Cultura e della Scienza a Varsavia attualmente assomiglia ad un parco a tema, per cui la violazione del taboo della morte nella trasformazione di un palazzo per uffici in un cimitero può apparire scioccante per qualcuno, ma forse non lo sarà più in una dozzina di anni. La reazione alla trasformazione del Santuario presso Lichen era ugualmente al limite'. Hotel Polonia pur partendo da una lettura del presente ha raccolto la sfida di mettere in scena un futuro plausibile attraverso il fotomontaggio, un mezzo semplice che si presta alla trasformazione in corsa e all'intervento creativo della mano umana. Le fotografie di Grospierre e Laksa sono, come dice il curatore Trybuś, "un monito. Nessuno sta affermando che quella sarà la faccia del futuro e che quindi si prenda una posizione per prevenirlo. Ma chissà, forse nel futuro la realtà materiale sarà triste, cupa, un'indesiderata necessità, mentre la parte felice delle nostre vite esisterà in una dimensione virtuale'. Piątek però apre uno spiraglio critico ancora più interessante, forse perché positivo ed ironico, dicendo che "le visioni di Hotel Polonia non sono del tutto pessimiste. Cosa c'è di sbagliato in una chiesa trasformata in un parco acquatico? Cosa di triste nell'accumulare urne cinerarie in un grattacielo del centro? Almeno così la memoria dei nostri cari sarà più vicina ai vivi. Una fattoria in città può essere anche un posto idilliaco, da molti punti di vista più piacevole di una pista d'atterraggio'. Il futuro dell'architettura è pieno d'interrogativi ma la costruzione dello scenario coglierà migliori opportunità se si riterranno compagni di viaggio gli artisti, da sempre visionari consapevoli.
Marco Sammicheli - 16.09.1979