Tecniche di narrazione il primo viaggio di Le Corbusier a Mosca
di Stefano Corbo
Finalista 2010
Il resoconto di un viaggio è soprattutto il racconto di luoghi visitati, esperienze maturate e condivise, persone incontrate. Il primo viaggio di Le Corbusier a Mosca, nel 1928, condensa tutta questa serie di aspettative nell'entusiasmo e nella curiosità intellettuale con la quale l'architetto svizzero guardava al nuovo corso sovietico.; nasce in realtà dalla volontà di difendere il proprio progetto per il Centrosoyuz, edificio che gli era stato incaricato dalle autorità sovietiche nel maggio del 1928, ma si trasforma ben presto in un'esperienza indimenticabile sotto vari punti di vista. Sebbene infatti non fosse il primo architetto occidentale a visitare la Unione Sovietica- Bruno Taut e Erich Mendelsohn già erano stati ricevuti nel 1926-, c'era grande aspettativa attorno al viaggio dell'architetto svizzero.
Il primo soggiorno moscovita di Le Corbusier diventa così soprattutto la storia dell'incontro con il regista Sergei Ejzenstejn, di cui l'architetto svizzero era un ammiratore già da anni, al punto di aver chiesto a un amico critico cinematografico di poter vedere in gran segreto la Corazzata Potemkin, film all'epoca censurato in Francia. Due personaggi apparentemente lontanissimi per estrazione e provenienza sono in realtà legati a un filo invisibile costituito da un codice comune di interessi e riferimenti culturali, così come da un destino simile rispetto alla diffusione delle loro idee nell'ambiente sovietico.
Proviamo a riannodare questo cordone incominciando dal più banale dei punti di contatto, ovvero la persona che li fa conoscere a Mosca nell'ottobre del 1928.
Arrivato infatti nella capitale sovietica, Le Corbusier trascorre le prime settimane tra incontri pubblici e lezioni sulla città contemporanea. Architetti locali lo guidano in visite alla città e alle campagne vicine. Quello che più impressiona l'architetto svizzero è la forma di organizzazione del lavoro e del tempo libero. La creazione di una "casa dei lavoratori" con cinema, teatri, palestre, biblioteca, gli sembra una idea formidabile. In queste visite è quasi sempre accompagnato da Andrei Burov, architetto amico di Ejzenstejn, per il quale aveva disegnato alcune ambientazioni del film "La Linea Generale"(1928). Burov è l'elemento di contatto tra l'architetto e il regista; o meglio, tra l'interesse di Ejzenstejn per l'architettura moderna, e l'influenza della lezione lecorbuseriana presso una nuova generazione di architetti, com'è possibile notare da alcuni fotogrammi del film. Gli edifici di Burov, con le finestre a nastro e i pilotis di un immaginario edificio le corbuseriano, rimandano appunto all'esperienza dell'architetto svizzero; allo stesso modo, le nuove costruzioni in cemento che Le Corbusier vede durante la proiezione privata del film, rappresentano per lui il segno di un un "Nuovo Spirito".
Sono l'esaltazione di una nuova epoca, di una nuova sensibilità, soprattutto se applicata a edifici come fattorie o club dei lavoratori. Nel film di Ejzenstejn, la modernizzazione e la collettivizzazione dell'architettura è trattata alla stregua di quello che succedeva nell'agricoltura.
Nel modello sovkhoz di Burov, Le Corbusier non vide solo una fattoria, ma la visione di una età della macchina, opposta all'utilitarismo funzionalista. Le Corbusier apprezzò così tanto il film del regista sovietico che in molte occasioni utilizzò il titolo del film per spiegare quella atmosfera e quella tensione produttiva che aveva percepito in Russia all'epoca. E in occasione dell'incontro, il maestro svizzero ripetendo i sentimenti di simpatia e stima verso il regista, gli regalò una copia de "L'art decoratif d'aujourd'hui". La sua vicinanza intellettuale a Ejzenstejn è chiara: dell'opera del regista sovietico Le Corbusier apprezza la capacità di trasformare in monumentali eventi o gesti apparentemente insignificanti, attraverso il lirismo della narrazione, e a concentrare il proprio sguardo su quelle situazioni che normalmente sfuggono alla nostra superficiale attenzione. Sia i film di Ejzenstejn che l'edificio di Le Corbusier, costruito solo nel 1936, vivono alterne vicende: esaltati inizialmente, poi sommersi dalle critiche, infine oggetto di un equivoco ideologico.
Uno stesso destino accomuna, almeno in Russia, il regista e l'architetto. Quasi tutti i film di S. Ejzenstejn furono tormentati, ma General'naja linija – la "linea" è quella del Partito – fu tormentatissimo. L'autore ne cominciò la preparazione subito dopo La corazzata Potëmkin, la interruppe per fare Ottobre, la riprese su nuove basi nel '28, terminò il montaggio nella primavera del '29, dovette aggiungere un epilogo patetico e cambiare il titolo in Staroe i novoe (il vecchio e il nuovo). Allo stesso tempo l'infatuazione di Le Corbusier per il mondo sovietico si affievolisce: cominciano le prime critiche all'edificio Centrosoyuz, molte delle quali ricevute proprio dagli stessi architetti che erano stati vicino a lui durante il soggiorno moscovita. L'edificio è considerato da alcuni monotono, privo di ogni qualità artistica. Secondo altri è inadeguato a ospitare i molti operai che si ritroverebbero a lavorare in condizioni difficili, quasi come fossero degli automi. Per altri ancora l'uso dei pilotis si rivela inutile in una importante strada di Mosca, come quella in cui sorge l'edificio.
Le critiche o le perplessità sorte attorno a questo edificio lasciano intendere che è cambiato il clima generale di curiosità verso le esperienze architettoniche europee. L'edificio di Le Corbusier viene considerato insomma come una specie di "errore di gioventù", del nuovo regime, il risultato di un'affrettata riflessione su come dovev essere un'architettura socialista. Ecco cosa scriveva a tal proposito, un architetto costruttivista, Roman Khiger, nel 1935: "Il radicalismo di questa proposta sembrava rivoluzionario. Il suo pathos gli ha fatto registrare numerosi consensi.
Ma possiamo affermare che questo edificio abbia abbellito la città ? Con grande difficoltà direi di no. In architettura, come in tutta la sfera creativa, la semplicità è chiaramente preferibile alla lussuria tracotante. Ma le geometrie lapidarie del Centrosoyuz non sono attrattive. E' un edificio triste, severo. La sua facciata di vetro sembra monotona e fuori luogo. La qualità astratta dei volumi lo rende impersonale, uno scheletro quasi ". Quello che però di più accomuna la produzione architettonica di Le Corbusier e l'opera cinematografia di Ejzenstejn e che rende interessante una comparazione tra i due, è senza dubbio la capacità di narrazione che tanto lo svizzero apprezzava nei film del regista russo. Le affinità tra la teoria del lirismo della macchina di Le Corbusier, e il pathos della macchina di Eisenstein, sono evidenti. Potremmo parlare di tecniche di narrazione, che si trasformano nella Promenade architecturale di Le Corbusier e nel montaggio armonico in Ejzenstejn. Nel corso del montaggio, Ejzenstejn decide infatti d'usare una tecnica nuova, servendosi di"strutture emotive per un materiale non di emozione", facendo ricorso ai neri, ai bianchi, ai grigi come suoni e toni per formare una sinfonia suonata da diversi strumenti.
Come Le Corbusier ottiene certo lirismo attraverso la giustapposizione dei volumi e ottiene una intensità spaziale attraverso l'uso di precisi itinerari narrativi, così Ejzenstejn nei suoi film trascende il dato reale attraverso un processo di "pateticizzazione". Trasforma cioè materiali e protagonisti in un narrazione epica. Ed è curioso notare, come,in differenti luoghi ed occasioni, entrambi si abbeverano alla stessa fonte: quel passo della Histoire de l'Architecture di Auguste Choisy (1888) in cui Choisy descrive il percorso di avvicinamento all'Acropoli di Atene come una successione di quadri bidimensionali o tableaux, frutto di una precisa e piuttosto tecnica relazione tra pianta e alzati. Riprendendo dunque Choisy e l'abilità da grande regista che gli architetti dell'Acropoli seppero mettere in campo, Le Corbusier (in "Vers une architecture") inventa la promenade architecturale; Ejzenstejn, nel suo "Tecnica del montaggio", sviluppa nuove riflessioni sull'idea di narrazione.
Stefano Corbo