Carlo Scarpa.
A question of balance. Villa Ottolenghi, Bardolino, Verona, Italy
pubblicato su "Casa Vogue", n. 31, aprile 2009
di Teresita Scalco
Finalista 2010
Bardolino, lungo la riva orientale del Lago di Garda. Ci si arriva passando da Verona; la strada si dirige prima verso ovest, poi vira a nord, in direzione di Trento. Le dolci colline della Valpolicella accompagnano il procedere: i filari delle viti già tesi si alternano ritmicamente agli ulivi potati, pronti per il primo sole primaverile. Appare a un tratto, a sinistra, una stradina stretta e ripida che s'inerpica sulla collina. Ecco, quasi completamente mimetizzata nel verde, Villa Ottolenghi; l'edificio pare quasi nascere da dentro la terra. Come sarà apparso, più di trent'anni da, questo paesaggio a Carlo Scarpa, quando, salendo per questo che era solo un sentiero sterrato, andava a visitare il sito dove avrebbe realizzato una tra le più interessanti e liriche delle sue ultime opere? Scarpa era infatti già settantenne, all'apice della carriera, quando, nel 1974, l'avvocato veneziano Carlo Ottolenghi gli commissionò la progettazione di una casa per il figlio Alberto, sulla sommità settentrionale di un piccolo lotto in località Mure, dove peraltro già si trovavano un rustico e un piccolo vigneto. Queste presenze, che a prima vista potevano apparire una difficoltà, divennero al contrario per Scarpa occasione, inedito punto di partenza per sviluppare un progetto di un'abitazione monofamiliare isolata ma perfettamente dialogante con il contesto e capace al contempo di superare la lezione "organica" di Frank Lloyd Wright, tanto casa al maestro. Lo stesso Scarpa, in un'intervista del 1978, confermava e insieme precisava: «L'opera di Wright fu per me un colpo di fulmine. Mi portò via come un'onda - lo può vedere in alcuni dei miei primi progetti di case (riferendosi a Villa Veritti, a Udine, ndr) - europeo che naviga verso oriente». Alfa e omega di una feconda evoluzione, Villa Veritti e Villa Ottolenghi rappresentano nell'opera scarpiana l'inizio e il superamento dell'influenza di Wright. Gli elementi caratterizzanti della prima – la verticalità della facciata principale, la fine cesellatura dei serramenti di gusto quasi goticheggiante – si trasformano nel progetto della seconda, attraverso una purificazione formale della composizione dei volumi, in uno sviluppo orizzontale della pianta, sulla quale si inseriscono i muri, i solidi pilastri, la copertura. Con l'improvvisa scomparsa (28 novembre 1978) di Carlo Scarpa, che allora si trovava in Giappone, fu subito evidente che l'architetto lasciava orfana un'opera in grado di oltrepassare alcuni "scarpismi", come egli stesso ironicamente li definiva, per aprire una nuova stagione, un nuovo atteggiamento del fare. Fortunatamente, il lascito intellettuale del "professore" venne subito adottato dai suoi fedeli collaboratori, dagli allievi e dall'entourage di artigiani che, avendolo accompagnato durante tutta la sua attività lavorativa, furono in grado di portare a termine le opere incompiute. Fu così grazie a Giuseppe Tommasi – principale collaboratore di Scarpa nonché direttore dei lavori in questo progetto – che la casa di Bardolino venne ultimata, nel 1979. Per l'ingresso destinato all'accesso degli ospiti, Scarpa aveva tracciato uno schizzo di getto. Non ci sono ripensamenti, la pulizia del tratto si traduce in una stretta "calle" digradante che, seguendo l'andamento tondeggiante del rilievo, separa la collina dal corpo dell'edificio, fino a condurre alla corte antistante la villa. Lungo questo passaggio si procede lentamente, su piastre di cemento sospese. E' una sottile cesura, dove ogni passo si fa quasi musica. «Quando uno cammina, deve sentire lo spessore della materia», amava dire Scarpa. Così, un gesto abituale diventa esercizio zen, un koan: in questo solco, tra la terra e l'architettura, ciò che è suggerito non dev'essere necessariamente visto, ma piuttosto agire da stimolo alla percezione per dilatare la nostra consapevolezza del mondo, per cogliere l'intesa di tutti i sensi; accentuare il peso dei passi per far vibrare l'ombra che anticipa la luce. Alla fine di questo breve percorso, si spalanca un inaspettato taglio prospettico, come a ricordare i paesaggi dei maestri veneti rinascimentali. «Il senso dello spazio non è dato da un ordine pittorico, ma sempre da fenomeni fisici, cioè dalla materia, dal senso del grave, dal peso del muro. Per questa ragione affermo che sono le aperture, i varchi e i trapassi che realizzano i rapporti spaziali», aveva dello Scarpa nel 1965. Straordinarie finezze in grado di suggerire una nuova percezione di dettagli, che, nella loro unione, creano l'interezza della composizione architettonica. Per il maestro e i suoi committenti, le anime dell'appezzamento sono il vigneto e gli ulivi intorno alla proprietà. Il vigneto è, quindi, il giardino, il "locus amoenus" nel quale trovare riposo e raccogliere i frutti della terra. Ecco perché l'abitazione è progettata sul margine nord-est dell'appezzamento, così da non turbare il corso della natura, intenta a corteggiare il tempo nell'alternarsi delle stagioni. Scarpa aveva lasciato solo una breve indicazione sulla distribuzione delle piante, quella di ricoprire la villa unicamente con due tipi di rampicanti: la vite rossa cadadese e il ficus repens sempreverde. Così, il rosso inteso e il verde smeraldo alternati in modo complementare si accordano perfettamente e ornano di raffinati ricami gli esterni della villa, che viene a sua volta inghiottita nella natura. Il fronte principale della dimora è caratterizzato da uno sviluppo sinuoso dei volumi, ammorbiditi dalla presenza dell'acqua, che riprende una delle ipotesi iniziali di Villa Veritti. Qui, una canaletta, scorrendo lungo il fianco orientale della collina, passa sotto i quattro gradini dell'ingresso per sfociare infine in un'ampia vasca esterna e interno, una cascatella a zig-zag emerge da due dei nove scultorei pilastri attorno ai quali si articola tutta la costruzione. Lo specchio d'acqua liscio, protagonista del dialogo costante con i materiali, addolcisce la rugosità dell'intonaco. Si fa sensibile il desiderio di toccare, sfiorare la materia grezza, assecondando così l'invito dell'architetto veneziano a "gustare" la sua opera con tutti i sensi. Come si accennava, altra cifra cardine di questo lavoro sono i pilastri fuori scala attorno ai quali si articola lo spazio e su cui si adagia la copertura. Su un'anima in calcestruzzo, si alternano fasce di cemento levigato, rocchi di pietra di Prun e Trani. La superficie liscia e neutra del cemento grigio fa risaltare le qualità cromatiche e fisiche delle pietre locali impiegate; debordanti rispetto alla circonferenza del cilindro, la prima è lievemente verdastra e bene si completa con la seconda, più rossastra. Omaggio, questo, non solo ai materiali indigeni, ma anche all'architettura della zona. Non è difficile infatti immaginare che Scarpa disegnasse questi pilastri avendo in mente non solo la lezione di Alvar Aalto o di Wright, ma anche le tozze colonne delle chiese di san Nicolò e San Severo a Bardolino, nelle quali vi è un'analoga alternanza di pietra e cotto. Tornando agli ambienti interni della villa, colpisce la raffinata finitura in stucco nero del soffitto, sul quale la forza plastica dei pilastri sembra smaterializzarsi nel nulla. Questa qualità liquida, trasparente, calda del colore (nero vite e rosso saturno) dilata l'ambiente, originando uno spazio pulsante, vivo, e al contempo crea, nel capovolgimento della riflessione speculare tra esterno e interno, un'illusoria dissolvenza della materia nell'acqua. Non a caso, il light designer Gianandrea Gazzola ha ideato per il soggiorno un sistema d'illuminazione con lamelle argentate riflettenti ricolte verso l'alto, come farfalle che si adagiano sull'abisso del mare. La definizione progettuale degli interni da parte di Scarpa rimane pressoché incompiuta, tranne per pochi, semplici arredi fissi, come il caminetto-libreria, i serramenti, il pavimento. Quest'ultimo, seppur di manifattura povera, in graniglia di cemento fu disegnato con perizia: infatti Scarpa era stato comunque in grado di intercettare, a livello grafico, le future crepe, nelle quali aveva previsto la semina di elementi in cotto rosso. Numerosi sono i disegni che testimoniano l'elaborazione per definire i serramenti realizzati in abete dipinto e iroko. Elegante, dal gusto tipicamente nipponico, la porta d'ingresso alla casa interrompe la continuità della vetrata. Sensibile e accurata è stata poi la scelta di Giuseppe Tommasi di intonacare con stucco rosso e calce azzurra i volumi attorno ai quali si articolano gli ambienti principali (una soluzione utilizzata per l'allestimento del Museo di Castevecchio), lasciando invece bianche le pareti di quelli circostanti. Intuizione e genialità, lavoro "in" e "di" processo in grado di mostrare solo la credibilità dell'idea attraverso l'opera stessa. Si abbandona la ricerca del monumento, si allenta l'ossessivo studio del dettaglio fine a se stesso per tracciare nuovi percorsi progettuali, nuove visioni, come la copertura percorribile, in grado di offrire un belvedere sul lago e una lettura d'insieme della proiezione planimetrica dell'edificio. Sipario teatrale, tenda berbera, giardino pensile: queste e ancora altre sono le metafore che suscita quest'ultima opera di Scarpa. Sotto i piedi, la solidità dell'architettura tende verso l'alto, verso la leggerezza. La vista fluttua, frena tra le foglie degli arbusti più alti, li oltrepassa fino a scorgere un frammento della linea blu dell'orizzonte che divide il lago dal cielo, l'acqua dall'aria. Ed è proprio guardando quella leggerissima linea di congiunzione-separazione che meglio si comprende la poetica scarpiana. Nel 1968, Louis Kahn dedicò all'architetto veneziano, alla sua arte, una composizione che Francesco Dal Co,[…], opportunamente ricorda e che qui appare perfettamente sintonica:
«Nell'opera di Carlo Scarpa "Bellezza"
il primo senso
Arte
la prima parola
Poi, la Meraviglia
nell'interiore realizzazione della "Forma"
il senso d'interezza di elementi inseparabili.
Il Disegno consulta la Natura
per dare presenza agli elementi.
Un'opera d'arte si manifesta nella completezza della "Forma"
la Sinfonia delle forme selezionate degli elementi.
Negli elementi, la loro celebrazione.
Il dettaglio è l'adorazione della Natura».
Questa sembra essere la vera meta finale del viaggio a Bardolino.
Teresita Scalco