Con il voto di fiducia arriva l'ok dal Senato all'emendamento interamente sostitutivo del disegno di legge di conversione del cosiddetto decreto fiscale. Con il via libera di Palazzo Madama entra nel Ddl anche l'estensione dell'equo compenso a tutti i professionisti. Ora il testo passa all'esame dell'altro ramo del Parlamento.
Si considera equo il compenso «proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto», tenuto conto delle caratteristiche della prestazione e dei parametri definiti con regolamento del ministero della Giustizia. Per ora si tratta di un principio che dovrà trovare la strada dell'applicazione. Dunque, un primo passo, che, però, già contempla un perimetro circoscritto di applicazione, che esclude i rapporti del professionista con microimprese e piccole e medie imprese e include, invece, i grandi committenti e la pubblica amministrazione.
Il diritto ad una parcella minima, oltre la quale non sarebbe possibile scendere, si applica a tutte le professioni, che siano organizzate o meno in ordini e collegi. L'ampliamento della sfera d'azione dell'equo compenso, in particolare, entra in un articolo scritto per i soli avvocati, nel quale viene introdotto un comma che estende - «in quanto compatibili» - le disposizioni scritte per il settore delle prestazioni legali a tutti gli altri professionisti.
Non c'è retroattività per gli incarichi pubblici
Per quanto riguarda i rapporti dei professionisti con la Pa, non c'è retroattività: «La pubblica amministrazione, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell'equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo l'entrata in vigore della presente legge».
Aggiornamento:
L'Antitrust boccia la norma sull'equo compenso: Equo compenso per i professionisti, Antitrust: «Violati i principi concorrenziali»
Clausole vessatorie
Le disposizioni trattano anche l'argomento "clausole vessatorie". Si considerano tali le clausole che, inserite nei contratti, e in relazione al giusto compenso, avvantaggino in modo evidente il committente, e quelle che riservino al cliente la facoltà di modificare unilateralmente il contratto o di pretendere prestazioni a titolo gratuito. A meno che non siano stato oggetto di specifica trattativa o approvazione, sono nulle anche quelle clausole che attribuiscono al cliente la facoltà di stipulare elementi essenziali del contratto in forma diversa da quella scritta, quelle che impongono la rinuncia al rimborso delle spese legate alla prestazione professionale e quelle che prevedono tempi di pagamento superiori a 60 giorni dalla data di ricevimento della fattura.
Alcune misure su clausole e tempi di pagamento già comprese nel Jos Act degli autonomi (legge 82 del 2017)
Alcune disposizioni riguardanti le clausole "capestro" erano già state previste dal cosiddetto Jobs Act degli autonomi (legge 82 del 2017) che considera già «abusive e prive di effetto» alcune tipologie di clausole, che inserite nei contratti con il committente, non tutelino il professionista. Il Jobs Act degli autonomi già considera nulle le clausole che danno al committente la possibilità di modificare unilateralmente le condizioni del contratto e quelle attraverso le quali vengono concordati termini di pagamento superiori a 60 giorni dalla data di ricevimento, da parte del committente, della fattura o della richiesta di pagamento. Inoltre si legge all'articolo 1 della legge 82 del 2017: «Si considera abusivo il rifiuto del committente di stipulare il contratto in forma scritta».
Il Jobs Act si era espresso anche sulla tutela dei professionisti in caso di ritardato pagamento, estendendo agli autonomi le norme contenute nel DLgs 231 del 2002, che tendono a tutelare le imprese creditrici in caso di ritardato pagamento. Tali tutele valgono se il cliente è un'impresa o un altro lavoratore autonomo e si applicano anche ai rapporti tra lavoratori autonomi e pubbliche amministrazioni. Tra le tutele, è previsto il diritto del creditore alla corresponsione degli interessi moratori, che decorrono in modo automatico, dal giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento.
In particolare, il Dlgs 231 del 2002 prevede che il periodo di pagamento non possa superare precisi termini (salvo particolari eccezioni):
- 30 giorni dalla data di ricevimento della fattura (o della richiesta di pagamento) da parte del committente;
- 30 giorni dalla data di prestazione dei servizi, quando non è certa la data di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento;
- 30 giorni dalla data di ricevimento dalla prestazione dei servizi, quando la data in cui il debitore riceve la fattura (o la richiesta equivalente di pagamento) è anteriore a quella della prestazione dei servizi;
- 30 giorni dalla data della verifica (eventualmente previste dalla legge o dal contratto) ai fini dell'accertamento della conformità dei servizi alle previsioni contrattuali.
Secondo quanto disposto dal Jobs Act autonomi, inoltre, per i professionisti i tempi di pagamento possono essere estesi fino a 60 giorni purché tale termine venga pattuito per iscritto e non sia gravemente iniquo per il creditore.
Mariagrazia Barletta
IL TESTO
» Equo compenso emendamento approvato in Senato
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