Risolto il nodo delle coperture, riprende la corsa la proposta di legge sull'equo compenso, il cui obiettivo è tutelare i professionisti nell'ambito dei rapporti contrattuali con la Pa e i committenti forti, quali le imprese bancarie, le compagnie assicurative e le aziende di grandi dimensioni. La proposta legge è stata approvata ieri, 13 ottobre, alla Camera e ora passa all'esame del Senato.
A riaprire la strada al percorso parlamentare è stato lo stralcio di alcune disposizioni dopo i rilievi della Commissione Bilancio che si era espressa dopo aver sentito il Governo. Per ragioni di copertura finanziaria, rispetto al testo originario, sono state escluse dalla nuova disciplina le prestazioni professionali rese in favore delle società veicolo di cartolarizzazione, delle società a partecipazione pubblica e degli agenti della riscossione. Inoltre, viene esclusa qualsiasi forma di compenso per i componenti dell'Osservatorio che si prevede di istituire presso il ministero della Giustizia per vigilare sull'osservanza delle nuove disposizioni.
Sempre per motivi di copertura, sono escluse dall'applicazione della nuova disciplina le convenzioni in corso, sottoscritte prima della data di entrata in vigore del provvedimento. La preoccupazione era che potesse «determinarsi, in sede giudiziaria o comunque in via di autotutela della Pa, la revisione anche di compensi già pattuiti per prestazioni richieste da amministrazioni pubbliche».
«Delusi per un'occasione mancata». È il commento a caldo del presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella, al via libera della Camera al disegno di legge sull'equo compenso. «Completamente fuori binario il perimetro di applicazione della norma. Si continua a insistere sui rapporti professionali regolati da "convenzioni" con banche, assicurazioni e grandi imprese che, però, sono solo una parte dei clienti dei professionisti», spiega Stella, «ma non si fa alcun riferimento ai rapporti professionali individuali, relativi cioè alle singole prestazioni, che rappresentano la maggior parte degli incarichi attribuiti dalla P.A. ai professionisti e che rimangono fuori dal campo di applicazione della legge».
indice dei contenuti
Cosa prevede il disegno di legge
Quando il compenso è equo
La proposta di legge considera equo il compenso di un professionista se è proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto e al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale. Per essere equo, il compenso deve soprattutto essere conforme ai compensi previsti dai decreti cosiddetti «parametri» e «parametri-bis», ossia dal Dm 140/2012 con cui il ministero di Giustizia ha introdotto i parametri che i giudici impiegano per determinare i compensi in caso di controversie ed dal Dm Giustizia del 17 giugno 2016 che fissa i parametri per la determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara negli appalti di servizi per architetti e ingegneri.
Chi sono i clienti "forti"
La proposta di legge tenta innanzitutto di ampliare il campo applicativo dell'equo compenso attraverso nuove disposizioni. Va ricordato che già nel 2017 (con il Dl 148) si è tentato di mitigare gli squilibri nei rapporti contrattuali tra professionisti e clienti "forti", individuati nelle imprese bancarie e assicurative e nelle imprese diverse dalle Pmi. Queste ultime, in base ai parametri europei, si identificano con le imprese che occupano meno di 250 persone, con fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro. Dunque, rispetto alle norme in vigore, la proposta di legge allarga la platea di clienti verso i quali si applica l'equo compenso.
Più nel dettaglio, il testo propone di estendere la disciplina dell'equo compenso alle attività professionali - e più precisamente a prestazioni d'opera intellettuale - che sono svolte in favore di imprese bancarie e assicurative, nonché di imprese che nel triennio precedente al conferimento dell'incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di 50 lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro. Il professionista ha diritto all'equo compenso anche per le prestazioni rese nei confronti della pubblica amministrazione (sono escluse le società a partecipazione pubblica).
Nulle le clausole che prevedono compensi non conformi ai parametri
Le disposizioni in fase di elaborazione considerano nulle le clausole che prevedono un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali. Il disegno di legge considera nulle anche «le pattuizioni che vietino al professionista di pretendere acconti nel corso della prestazione o che impongano l'anticipazione di spese o che, comunque, attribuiscano al committente vantaggi sproporzionati rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro svolto o del servizio reso» dal professionista.
Le clausole vessatorie
L'elenco delle clausole vessatorie, e quindi nulle, è ben lungo. Vi rientrano la possibilità del cliente di modificare unilateralmente le condizioni del contratto e la facoltà del cliente di pretendere prestazioni aggiuntive in forma gratuita. Il cliente non può inoltre pretendere un'anticipazione delle spese a carico del professionista. Non è inoltre possibile prevedere tempi di pagamento superiori a 60 giorni e sono nulle anche le clausole che impongono al professionista la rinuncia al rimborso delle spese connesse alla prestazione dell'attività professionale oggetto della convenzione. La nullità delle singole clausole non comporta la nullità del contratto, che rimane valido ed efficace per il resto.
Qualsiasi accordo non conforme ai parametri può essere impugnato
La convenzione, il contratto, l'esito della gara, l'affidamento, la predisposizione di un elenco di fiduciari o comunque qualsiasi accordo che preveda un compenso inferiore ai valori determinati dai Dm parametri possono essere impugnati dal professionista innanzi al tribunale competente per il luogo dove egli ha la residenza o il domicilio, al fine di far valere la nullità della pattuizione e di chiedere la rideterminazione giudiziale del compenso.
Il tribunale procede alla rideterminazione secondo i parametri previsti dai Dm, tenendo conto dell'opera effettivamente prestata e chiedendo, se necessario, al professionista di acquisire dall'ordine o dal collegio a cui è iscritto il parere sulla congruità del compenso o degli onorari, che costituisce elemento di prova sulle caratteristiche, sull'urgenza e sul pregio e sull'importanza dell'attività prestata. Il giudice che accerta il carattere non equo del compenso pattuito, ridetermina il compenso dovuto al professionista e condanna il cliente al pagamento della differenza tra l'equo compenso ricalcolato e quanto già versato al professionista.
Il giudice può inoltre condannare il cliente al pagamento di un indennizzo in favore del professionista, fino al doppio della differenza tra equo compenso e onorario corrisposto, «fatto salvo il risarcimento dell'eventuale maggiore danno».
Il ruolo dei Consigli nazionali
Il disegno di legge prevede anche un aggiornamento ogni due anni dei parametri, su proposta dei Consigli nazionali degli ordini o collegi professionali. Esigere un compenso che sia giusto, equo, proporzionato alla prestazione professionale e conforme ai parametri diventa un obbligo: l'eventuale violazione potrà essere sanzionata dall'ordine professionale che dovrà adottare disposizioni deontologiche ad hoc. Le imprese possono adottare modelli standard di convenzione, concordati con i Consigli nazionali degli ordini o collegi professionali. I compensi previsti in tali modelli standard si presumono equi fino a prova contraria.
pubblicato il: