«Galata è posta sopra una collina che forma un promontorio tra il Corno d'Oro ed il Bosforo, dov'era il grande cimitero dei Bizantini antichi. È la City di Costantinopoli. (...) Si sente parlar francese, italiano e genovese. Ma della loro potenza non rimangono più altri monumenti che alcune vecchie case sostenute da grossi pilastri e da arcate pesanti, e l'antico edificio dove risiedeva il Podestà.»
Così Edmondo De Amicis nel 1875, descriveva la città genovese di Galata, all'interno di Costantinopoli. Eppure a Istanbul, nonostante tutto, possiamo imbatterci ancora oggi in edifici come le case a cremagliera di Galata che pur non trovandosi in nessuna città italiana, riportano alla mente proprio l'Italia, quella bizantina, in particolare: dalla Cattolica di Stilo in Calabria, al San Vitale di Ravenna che ha il suo analogo nella Chiesa dei Santi Sergio e Bacco (oggi Küçük Ayasofya a Istanbul), dalle case medioevali in opus craticium che ricordano la struttura a telaio in legno delle dimore ottomane, al tessuto urbano di Martina Franca in Puglia coi tipici vicoli a cul-de-sac così simili al tessuto residenziale ottomano sono molte le tracce che legano l'Europa a Bisanzio, Costantinopoli, Istanbul.
E allora forse, quella dicotomia tutta ottocentesca che esalta l'architettura romana e mal dipinge quella bizantina, dovrebbe essere rivista, perché l'architettura si è sempre costituita per spoliazione e questo flusso continuo (tanto più evidente nella metropoli sul Bosforo che altrove) racconta la storia delle civiltà.
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Istanbul, sullo sfondo la Torre di Galata © RPWT 2024 · Fondazione Renzo Piano
Case a cremagliera a Galata, © photo 2012 Serena Acciai
Torre di Galata disegnata alla Le Corbusier © Serena Acciai
Non per sostituzione ma per aggiunta, fino all'Istanbul Modern
La chiave di lettura per comprendere questa sottesa sensazione di continuità tra Istanbul e l'Europa si ritrova nel Romanzo di Costantinopoli di Silvia Ronchey e Tommaso Braccini:
"agli antichi ponti se ne affiancano nuovi, avveniristici, i grattacieli si innalzano accanto alle antiche pietre, ma la Città vive come ha sempre vissuto, non per sostituzione ma per aggiunta".
L'Istanbul Modern, l'edificio del Renzo Piano Building Workshop inaugurato lo scorso anno, si è già perfettamente inglobato nel lungomare di Karaköy. Il museo infatti contempla pienamente quei caratteri che distinguono l'architettura della Città, così come li aveva letti Maurice Cerasi, ovvero:
"La presenza costante dell'acqua", con la quale l'edificio di Piano si misura essendo fatto di un guscio leggero che riflette e si apre alla luce del mare;
"Il lascito della città antica ossia l'erosione del classicismo come principio di architettura", che l'Istanbul Modern lascia sempre intravedere proprio per il suo carattere di permeabilità;
Il concetto di soglia, grazie al suo trovarsi su quel magnifico limite che sono le sponde del Bosforo. Per questo forse Paola, Flore e Ivàn lo hanno descritto come un parallelepipedo metallico sospeso tra il mare e la città.
Istanbul Modern © RPWT 2024 · Fondazione Renzo Piano
Schizzo Istanbul Modern © RPWT 2024 · Fondazione Renzo Piano
Il concetto di soglia
A Istanbul si è sempre su una soglia.
La moschea di Solimano ad esempio, capolavoro di Sinan, funge da tramite per superare un significativo dislivello. Le sue architetture "minori" - cucine, bagni, scuole - sono distribuite a livelli differenti rispetto alla moschea stessa, e degradano dolcemente verso il Corno d'Oro. Questi edifici sono progettati utilizzando la sezione e la moltiplicazione degli spazi come elementi costitutivi dell'architettura. Anche il muro di cinta che definisce la soglia tra sacro e profano, è traforato, permettendo così di attraversarlo visivamente in più punti.
Lo stesso principio si applica agli spazi dei cimiteri, che non sono entità separate dalla città come avviene nel mondo occidentale, ma integrati nella vita urbana. Sulla Divanyolu Caddesi, ad esempio, si può entrare in un piccolo cimitero, proseguire in un caffè e poi uscire nei pressi della moschea di Atik Ali Paşa. Allo stesso modo le immense corti aperte delle moschee di Fatih fungono da importanti percorsi di attraversamento urbano.
Spazi di transizione, ma anche luoghi di sosta, rappresentano l'essenza della città ottomana. Su scala più piccola questi principi definiscono anche la struttura delle case che ci riconnettono al contempo al passato bizantino e alla tradizione prettamente più orientale.
Il concetto di soglia · Moschea di Solimano · photo © danipuntoeffe
Moschea di Solimano · photo © danipuntoeffe
Una cultura abitativa sospesa tra Europa e Asia
Ed è proprio l'architettura delle case tradizionali che funge da trait d'union tra la Turchia e il Giappone che così tanto ha contato nel viaggio di Paola, Flore e Ivàn e che continua a lasciare tracce nel nostro mondo occidentale, come ci ha raccontato Elisa Scapicchio. [ → QUI ]
Equilibrio con la natura ma anche eleganza, raffinatezza e uso del legno sono solo alcune delle analogie tra questi due modi di abitare. Già in anni lontani, Sedad Hakkı Eldem il più rappresentativo architetto turco del Novecento, aveva colto tali connessioni che potevano aver avuto origine dalla comune propensione delle due culture alla vita introversa.
Le caratteristiche spaziali della casa ottomana come la disposizione asimmetrica della planimetria, la chiarezza nell'espressione della facciata e la purezza costruttiva, si ritrovano anche nelle abitazioni giapponesi dove la struttura è visivamente esposta e i materiali utilizzati sono puri nella forma e nella texture. Nella casa ottomana, invece, gli elementi strutturali sono nascosti dai materiali di riempimento ma rimangono visivamente espressi. L'abitazione giapponese è articolata con elementi naturali e le barriere visive vengono eliminate per collegare la casa al giardino, mentre la facciata che dà sulla strada è reticolata per garantire la privacy. Nell'architettura residenziale ottomana, l'esposizione all'esterno è più controllata attraverso l'uso di gruppi modulari di finestre con un rapporto 1:2.
Ma è proprio la modularità delle due tecnologie costruttive che rende queste due antiche tradizioni così simili. Essa permette al contempo la multifunzionalità delle stanze e quella meravigliosa apertura verso la natura che oggi acquista un valore aggiunto se pensata e riletta in chiave contemporanea.
Modularità e aperture della casa ottomana e della casa giapponese © Serena Acciai
Il viaggio a Istanbul, un genere a sé stante
Se lo spazio della più mirabile delle chiese cristiane diventa una moschea, poi un museo e poi di nuovo una moschea forse il suo significato più grande non sta nella funzione quanto nella continuità delle forme dall'antichità ad oggi. E solo questo, in architettura, fa riflettere.
Possiamo aggiungere che per un architetto europeo ed in particolare italiano, la tappa di Istanbul è condizione fondamentale per la formazione di un punto di vista a tutto tondo dove ciò che già conosce (il proprio background culturale) varia necessariamente di significato e così facendo allarga il proprio orizzonte.
Alphonse de Lamartine ha scritto che:
"se a un uomo venisse concessa la possibilità di un unico sguardo sul mondo, è Istanbul che dovrebbe guardare".
Panorama della penisola storica da Moda, Istanbul, photo 2019 © Serena Acciai
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